I piemontesi della Guardia Imperiale

I piemontesi della Guardia Imperiale

È noto come la lunga epopea napoleonica avesse coinvolto, fin dal suo principio, migliaia di italiani che inquadrati nelle armate imperiali combatterono con onore e coraggio in giro per tutta l’Europa nei più celebri campi di battaglia da Austerlitz a Ligny.
Note sono le vicende dell’invitto e mai sconfitto esercito del Regno d’Italia (ancora vittorioso sul Mincio nel 1814) o quelle del 111° e 113° reggimento fanteria di linea dell’esercito francese, composti, quasi per intero, rispettivamente da piemontesi e toscani, e così via.


battaglia-di-lipsia-1813La Battaglia di Lipsia, 1813


Meno conosciuti sono due piccoli reparti composti da piemontesi e toscani inquadrati nientemeno che nella Guardia Imperiale, la celeberrima forza speciale dell’imperatore Napoleone I: si trattava dei veliti di Torino e Firenze.

I Veliti di Torino

Il battaglione “Velites de Turin” fu costituito con decreto imperiale del 24 marzo 1809, dato al Palazzo delle Tuileries a Parigi, con lo scopo di proteggere a Torino il governatore dei dipartimenti d’oltralpe, principe Camillo Borghese, cognato dell’imperatore avendo a suo tempo sposato la bella Paolina Bonaparte. Il battaglione venne da subito inquadrato formalmente nella Guardia Imperiale e fu accasermato a Torino nell’odierno “Palazzo Campana”, dove rimase fino al 20 maggio 1814 quando, con il rientro dei Savoia in Piemonte, la struttura fu restituita ai padri filippini originariamente insediati nell’edificio (ne erano stati allontanati, infatti, nel 1801 in seguito alla soppressione dell’ordine per disposizione delle autorità francesi).
Il reparto si componeva di uno stato maggiore e di quattro compagnie da 150 soldati raggiungendo un organico complessivo di 626 unità comprensive di ventuno ufficiali posti al comando del maggiore Hyacinthe Cicéron (che comanderà il battaglione fino al suo scioglimento) e 605 uomini tra sottufficiali e truppa.
Requisiti d’accesso al reparto erano una sana e robusta costituzione, un’altezza minima di metri 1.70, il saper leggere e scrivere ed infine una rendita sicura propria o dalla famiglia di almeno 200 franchi. Inoltre, era fondamentale aver compiuto il diciottesimo anno di età.
In un primo tempo gli ufficiali ed i sottufficiali formatori furono prelevati dalla Guardia Imperiale le cui uniformi ed armi venivano utilizzati dal battaglione stesso secondo le linee guida adottate dai fucilieri della “garde”.
Appartenere al reparto divenne un piccolo trampolino di lancio per molti giovani, poiché, appartenendovi per due anni, si ottenevano i gradi di sergente ed il diritto all’incorporamento nelle truppe di linea con tale grado.
Il battaglione ebbe vita relativamente tranquilla nei suoi primi anni per poi essere mobilitato nel 1812, fermandosi, per sua fortuna, in Germania e risparmiandosi l’ecatombe russa.
Prese parte però alle campagne successive a partire da quella di Sassonia nel 1813, per essere incluso, nell’agosto stesso, nella quarta brigata di fanteria della guardia (Divisione Curial) con i granatieri della guardia sassoni ed il battaglione d’élite polacco, partecipando alle battaglie di Lipsia ed Hanau. L’anno successivo i Veliti di Torino presero parte alla campagna per la difesa del territorio francese minacciato dalle forze della coalizione partecipando agli scontri di La Rothiére, Montmirail, Laon e Fére Champenois.
Il 27 aprile 1814 il principe Borghese, in seguito al disastroso esito della campagna, ordinò lo sgombero dei presidi francesi da Torino e, con il ritorno dei Savoia il 15 luglio, il glorioso battaglione “Velites de Turin” venne definitivamente sciolto e concluse così la sua breve storia che abbiamo voluto ricordare. Dai registri delle concessioni della medaglia di Sant’Elena, in parte consultabili in rete, riemergono oggi nomi di soldati che, alcuni chiaramente, altri probabilmente, combatterono nei Veliti di Torino. Pochi rispetto ai moltissimi che vi prestarono servizio, ma questi certamente erano viventi nel 1857 quando la decorazione fu istituita. Anche loro videro i moti risorgimentali e le guerre d’indipendenza: Antoine Fortuné Ardissone, un Bonchetti di cui si sconosce il nome, Jean Dalmazzo-Vaudagnotto, Julien Amant Constant Girard, Jean Baptiste Jorietti, Jean Morello e chissà quanti altri che non conosceremo mai.

L’equipaggiamento

L’armamento base era il fucile evoluzione del moschetto modello 1777 “Charleville” in uso presso la maggior parte dei reparti di fanteria della Grande Armata, il quale, tra l’altro, veniva prodotto anche dalla manifattura imperiale di Torino, ma non solo.
Funzionava a pietra focaia ed aveva un calibro di 17,5 mm ed un peso di 4,375 kg con relativa baionetta di 45,6 cm a sezione triangolare del tipo oggi vietato da tutte le convenzioni internazionali. Lungo circa un metro e mezzo poteva raggiungere quasi i due con la baionetta innestata.


moschetto-modello-1777-charlevilleMoschetto modello 1777 “Charleville”


Altra arma individuale tipica era la sciabola “Briquet” diffusamente utilizzata dalla fanteria della francese.
Aveva una lama corta di circa 59 cm per una lunghezza totale di circa 75.
Il curioso nome, che in francese indica l’accendino, gli fu attribuito dalla cavalleria che intendeva fare ironia sulla piccola lama portata dalla fanteria, in quanto le ridotte dimensioni della stessa (se si paragona alle enormi sciabole dei corazzieri ad esempio!) e la particolare forma della guardia potevano vagamente ricordare gli acciarini usati nei bivacchi.

L’uniforme

L’uniforme indossata dai veliti era quella ordinaria dei fucilieri della Guardia Imperiale con shakò ed equipaggiamento della fanteria.
La truppa indossava la giubba di panno blu con bottoniera dorata cui i bottoni d’ottone erano caricati dall’aquila imperiale, tipici di tutti i reparti della “garde”.  La stessa aquila faceva bella mostra di sé sulla giberna e sul copricapo posta sopra la coccarda tricolore. Lo shakò era poi decorato con un piumetto rosso vivo (ed ove previsto con galloni laterali arancioni) come le spalline a frangia e le manopole dell’uniforme.
I sottufficiali indossavano poi sulla stessa uniforme i galloni e le finiture dorate tipiche della loro posizione.
Gli ufficiali indossavano un’uniforme simile, ma meglio curata, munita di spalline dorate e di una gorgiera di eguale colore portata sul petto. Anche lo shakò portava cordelline dorate ed una fascia superiore in velluto su cui erano disposte in successione delle stelle dorate. L’aquila con la coccarda tricolore ed il piumetto scarlatto inserito in una coccarda dorata completavano il copricapo.
Finiture di colore arancione chiaro erano portate al bavero ed ai polsini della giubba dai “tamburini”.

veliti-di-torinoIl vessillo

Il reparto ricevette anche la sua bandiera dall’imperatore, la stessa che è conservata a Torino presso il Museo Nazionale del Risorgimento.  Al recto riportava la scritta: L’EMPEREUR DES FRANÇAIS AU BON DE VÉLITES DE TURIN ed al verso: GARDE IMPÉRIALE – VALEUR ET DISCIPLINE.

A. Mella

Note
Per quanto riguarda la nomina del principe Borghese in Piemonte nel 1808, pare che la moglie Paolina Bonaparte avesse giocato un ruolo chiave. Si dice avesse convinto l’imperatore con le seguenti parole: “Camillo è un imbecille e nessuno lo sa meglio di me. Ma qui sta il punto, no? gli stiamo affidando il governo di un territorio,  è perfetto!”.

Jean-Baptiste Antoine Hyacinthe Cicero (1778-1840) fu dapprima un soldato, poi un sottufficiale ed infine un ufficiale francese in servizio per tutto il ventennio napoleonico. Si fece onore nella campagna italiana del 1796 (fu ferito a Novi) ma anche ad Austerlitz. Battaglia che gli valse il trasferimento nella Guardia Imperiale. Venne decorato, tra l’altro, della Legione d’Onore. Si comportò assai bene in tutte le successive campagne e, dal 1810, ricevette il comando dei Veliti di Torino. Il suo valore nella battaglia di Dresda del 1813 gli valse anche la croce dell’Ordine della Riunione. Dopo un periodo di difficoltà, seguito alla restaurazione dei Borbone, riprese la carriera militare fino alla promozione a colonnello nel 1830.

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3 commenti su “I piemontesi della Guardia Imperiale

  1. Franco Romagnoli il said:

    Non capisco il perchè dell’ostinazione a denominare “Charleville” il fucile mod. 1777 corrigé an IX-XII. Charleville era semplicemente uno degli arsenali che producevano le armi da fuoco per l’esercito imperiale, con St Etienne (il principale) , Maubeuge, Muetzig, Versailles, Torino ed altri.
    Il 1777 An IX-XIII era prodotto nella versione da granatiere e voltigeur per la fanteria e in altre versioni specifiche per altri corpi, ma non si è mai chiamato “moschetto Charleville” nè “St Etienne”; sono denominazioni date dai collezionisti negli anni ’60, riferendosi alle marcature degli arsenali sulle cartelle dei fucili.
    Mi stupisce pertanto che un articolo firmato “studinapoleonici” usi certe denominazioni.

    • Ottavio Rossetti il said:

      Caro Franco,
      non sono un grande esperto di fucili, ma a me sinceramente l’articolo è piaciuto (come tutti gli altri di Alessandro Mella!), ma se pensi che ci sia un errore puoi segnalarlo in modo costruttivo, senza tanta arroganza….. Un eventuale errore nella terminologia tecnica non inficia il valore dell’articolo nel complesso.
      Quelli di Studi Napoleonici secondo me stanno facendo un ottimo lavoro, quindi tanto di cappello.

  2. studinapoleonici il said:

    Gentile Franco Romagnoli,
    La ringraziamo per la precisa segnalazione. Fermo restando la correttezza della sua osservazione, facciamo però presente che tale terminologia è ormai invalsa in buona parte della divulgazione storiografica odierna.

    La Redazione

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