La conquista di Malta

La conquista di Malta

Il 19 maggio 1798 salpa da Tolone il corpo di spedizione francese comandato dal generale Bonaparte e diretto in Egitto. Il contingente si arricchirà lungo la traversata di contingenti imbarcati a Marsiglia, Genova, Ajaccio e Civitavecchia, per un totale di circa 400 imbarcazioni, 40.000 soldati e 10.000 marinai. Dopo venti giorni di navigazione la flotta arriva nei pressi dell’isola di Malta; al rifiuto di Ferdinand de Hompesch, Gran Maestro dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni, di aprire il porto alla flotta francese, Napoleone Bonaparte dà ordine di prendere con la forza la città di La Valletta e le fortificazioni costiere. Riportiamo un estratto dalle memorie del Conte di Lavalette, all’epoca aiutante di campo del generale Bonaparte e testimone della fine del dominio dell’Ordine Ospedaliero sull’isola dopo quasi tre secoli.


L'assedio di Malta 12 giugno 1798La flotta francese a Malta, 12 giugno 1798


I preparativi della spedizione d’Oriente erano stati fatti con sommo secreto; il direttorio non avea pur voluto confidare agli impiegati subalterni la numerosa spedizione degli ordini, ed il segreto era stato sì ben custodito che l’Inghilterra non ne suppose lo scopo e non prese precauzione alcuna. Quattordici vascelli di linea erano riuniti a Tolone; non si poté prendere a bordo che la metà dei marinai: l’altra metà dell’equipaggio era composta di tutti i reggimenti d’artiglieria di spedizione. L’ammiraglio Brueyx comandava la flotta, e gli officiali, che erano sotto i suoi ordini, tutti pieni d’ardore aveano per la maggior parte la reputazione di uomini abili. Oltre l’armamento di Tolone, altre truppe imbarcate a Genova, ad Ajaccio, a Cività-Vecchia, avevano ricevuto l’ordine combinato di raggiungere la flotta avanti che questa pervenisse innanzi a Malta. Io era imbarcato sulla fregata Artemisia, che era in aiuto alla nave ammiraglia. La flottiglia del generale Desaix non si trovò al sito stabilito e l’Artemisia ebbe l’incarico di andare a scoprirla. Il generale Murat ci raggiunse, e siccome noi non eravamo lontani da Malta, forzò il capitano a dargli una barca colla quale approssimossi sino alle opere esteriori di difesa della Valletta. Quest’era un’imprudenza; ne commise una seconda che io racconto perché dà idea del carattere del generale. Incrociando davanti Malta, venne a noi vicino per entrare nel porto il solo vascello dell’ordine. Murat voleva che questa nave maltese passasse sotto il vento della nostra fregata. Ciò era contro gli usi della marina; ma il capitano del vascello sorpreso da questa strana pretensione ed intimidito alla vista della bandiera tricolore, obbedì senza esitare un solo istante, per entrare nel porto; ma al suo arrivo gettò l’allarme dappertutto, e la città, che poteva essere presa alla sprovvista, si trovò in stato di difesa quando noi sbarcammo.

Alla fine, il 10 giugno, la flotta comparve davanti Malta. La vista di una flotta sì considerabile, e di quattrocento bastimenti che portavano un’armata formidabile, gettò il gran mastro ed il suo consiglio in un grande abbattimento e pose il disordine fra i cavalieri ed il popolo dell’isola. Il disordine era per giungere al colmo, giacché era già stato assassinato dal popolaccio un cavaliere di Malta francese, allorché il generale in capo mandò il suo aiutante di campo Junot per intimare al gran mastro di aprire le porte della città. La risposta fece conoscere che il governo era deciso a difendersi. Allora una parte delle truppe sbarcò, attaccò tutti i fortini che difendevano le rive, se ne impadronì e immediatamente investì la piazza. Le fortificazioni della Valletta consistevano in una fossa tagliata nella pietra, e le di cui dimensioni rendevano l’attacco molto pericoloso; d’altronde era impossibile ad aprire la breccia, e l’intera isola non poteva fornirci abbastanza di legna né di terra per stabilire le batterie e metterci al coperto dalle artiglierie della fortezza. Per nostra fortuna la paura fece perdere la testa al gran mastro: il console di Russia esigeva di già che l’isola fosse data in possesso a truppe moscovite che si attendevano. Il gran mastro, vedendo che l’ordine di Malta era perduto, e non pensando che d’un momento all’altro una flotta inglese poteva salvarlo, prese il partito di segnare la capitolazione con Bonaparte. Il trattato fu ben presto concluso, ed il posdomani del nostro arrivo, l’intera armata erasi impadronita della città e dei forti, e la nostra flotta del bel porto della Valletta. Esaminando queste fortificazioni più in dettaglio, il capo del genio generale Caffarelli, disse al generale in capo: «Fu nostra buona ventura che siansi trovate persone nella piazza per aprire le porte, giacché se fosse stata deserta gli sforzi dell’armata intera non avrebbero potuto procurargliene l’entrata». All’indomani, della resa il gran mastro con tutto il suo stato maggiore salì sopra un brick [Ndr: brigantino, piccola nave a due alberi], io fui incaricato di accompagnarlo colla fregata Artemisia sino al fondo del golfo Adriatico, acciò non cadesse nelle mani dei Barbareschi che ne avrebbero fatto un trofeo. Due giorni dopo il mio imbarco incontrammo un bastimento raguseo che ci diede la notizia che alla mattina aveva veduto una flotta inglese che dirigevasi verso Malta. Fortunatamente che l’armata ed il suo capo erano di già partiti. La nostra gran flotta, ed i nostri quattrocento legni di trasporto costeggiarono durante la notte il nord del l’isola di Candia [Ndr: Isola di Creta], intanto che l’ammiraglio Nelson costeggiava per la parte opposta. Si è agitata molto tempo la questione di quello che ci sarebbe accaduto se Nelson ci avesse incontrati. Gli ufficiali di terra e soprattutto quelli che erano sui vascelli di linea erano convinti che noi avremmo battuto la flotta inglese; Bonaparte appoggiava quell’opinione di tutta l’autorità del suo nome. Io confesso che non sono mai stato di questo parere: quattrocento legni di trasporto, sopra i quali capitani erano nella minor parte francesi e che si difendevano su tutti i punti dell’orizzonte, sarebbero stati prestamente dispersi dalle fregate inglesi. Ad onta di tutti gli sforzi dei nostri, noi avremmo provato delle grandi perdite; la spedizione d’Egitto diveniva impossibile; ma l’armata si sarebbe gettata sulle coste della Sicilia e si sarebbe impadronita di quest’isola. La viltà del gran mastro e la meschina difesa dei cavalieri di Malta era un colpo della fortuna che proteggeva il destino del generale in capo.

Memorie e rimembranze del conte Lavalette,
Milano, Tipografia Pirotta 1840

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