La presa della Bastiglia nelle memorie del Conte Lavalette

La presa della Bastiglia nelle memorie del Conte Lavalette

Riportiamo in questo passo un estratto dalle memorie di Antoine Marie Chamans, Conte di Lavalette. Testimone di un’epoca di grande cambiamento e rinnovamento della società, Lavalette ci racconta dei fatti che portarono alla presa della fortezza della Bastiglia, dalle masse popolari che la espugnarono ai reparti di mercenari svizzeri che la difesero; non mancano neppure riferimenti storici alla sua edificazione e a come fosse diventata, a quel tempo, l’emblema della repressione aristocratica. Quando la testimonianza diretta viene meno, Lavalette fa ricorso a personaggi di primo piano come, in questo caso, Pierre-Augustin Hulin, tra i comandanti della rivolta e tra i primi ad entrare nella fortezza, che verrà successivamente nominato generale nell’Armata d’Italia di Napoleone Bonaparte. Il 14 luglio 1789, giorno della presa della Bastiglia, diventerà la data simbolo della Rivoluzione francese.


La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789La presa della Bastiglia, 14 luglio 1789


[…] scene di sangue e di tumulto duravano da diciotto mesi, ed il ridicolo successo che il governo avea ottenuto nel sobborgo S. Antonio lo persuadeva che la forza armata risponderebbe a tutto. Gli stati generali erano di già riuniti a Versailles, richiesti dal parlamento che voleva imbarazzare la corte e vendicarsi, dai ministri che non sapevano più dove battere la testa, dalla maggioranza della nazione giustamente scontenta d’un governo inabile, e fors’anche annoiata dall’uniformità del suo riposo. Gli stati generali sentirono prontamente che l’andamento e i pregiudizii della corte sarebbero un ostacolo invincibile al riparo del male; vollero un sistema di governo nel quale la nazione venisse contata per molto ed i privilegi quasi per niente. Necker, abile uomo di finanze, filosofo e nato cittadino di una repubblica [Ndr: è nato a Ginevra in Svizzera], li incoraggiò, ma il re, cedendo alle rimostranze de’ suoi cortigiani ed alla sua secreta avversione, licenziò questo ministro. Questa notizia arrivò speditamente a Parigi il 12 luglio, al momento nel quale tutti gli abitanti erano dispersi nei pubblici passeggi; essa gettò la confusione ed il dolore dappertutto, e bentosto i busti di Necker e del duca d’Orléans sono portati in trionfo per le contrade. Alcuni oratori si formano una tribuna nel giardino del Palazzo Reale ed attirano presso loro la moltitudine. «Tutto è perduto (essi dicevano), gli stati generali vanno ad essere di sciolti. I vostri più zelanti difensori sono di già forzati a fuggire, e voi state per cadere sotto il peso insopportabile d’imposte opprimenti e sotto i sanguinosi capricci di uno spaventevole dispotismo». Questi discorsi produssero un’agitazione che la presenza delle truppe svizzere contribuì di molto a rendere maggiore. Il governo volle servirsi del reggimento delle guardie per dissipare quelli che si chiamavano sediziosi. I soldati respinsero i loro ufficiali e si misero dalla parte del popolo. Alcuni squadroni del reggimento reale tedesco si presentarono, vennero fischiati; vollero far impeto contro la folla, vennero contr’essi scaricati dei colpi di fucile, e gli Svizzeri, accampati nel Campo di Marte, furono allontanati. La plebaglia infiammata sino al furore si scagliò contro i suoi nemici naturali; gli impiegati dell’Impresa generale furono obbligati a nascondersi e venne appiccato il fuoco alle barriere. In mezzo a questo disordine un rumore vago, e che altrettanto era più spaventevole quanto meno contrastato, si diffuse dappertutto e dicevasi che parecchi briganti si avvicinavano per mettere a sacco la città. Era almeno una baia di gusto assai cattivo. Ma quelli che la fecero circolare giudicarono bene i Parigini. In effetto i cittadini, che erano rimasti spettatori tranquilli di tutto il tumulto, alfine si scossero ed il 14 luglio più di duecentomila uomini si erano provveduti di qualunque arma capitasse loro alle mani. La notizia di questa sollevazione generale spaventò la corte e tutte le truppe di linea disparvero dai dintorni della capitale. Il sole alla fine rischiara il giorno decimoquarto di luglio, giorno sempre funesto, sempre memorabile nei fasti della Francia, e che tutti i popoli dovranno registrare nei loro annali, giacché qual è fra questi quello la di cui esistenza politica e civile non sia istata potentemente modificata dalla rivoluzione?
La plebaglia aveva inseguito la guardia, i commessi, le spie, e ciò era ben naturale: ma in qual maniera una popolazione immensa poteva credere che alla presa della Bastiglia fosse attaccato il suo destino, e come persuadersi d’aver tutto vinto quando se ne fosse resa padrona?


La fortezza della Bastiglia era stata edificata sotto il regno di Carlo V, in un tempo nel quale le armi a fuoco erano appena conosciute. la sua posizione fuori della porta S. Antonio annunciava chiaramente che Carlo V non avea avuto, l’idea di servirsene per raffrenare la capitale. Egli voleva, dicevasi, collocarvi i suoi tesori; ma la distribuzione interna provava che lo scopo nel fabbricarla era stato quello di servirsene come prigione di stato. Questa pretesa fortezza si componeva di cinque torri dell’altezza di circa centoventi piedi, fra loro legate da forti ed alte muraglie e circondate da fosse larghe e profonde; il suo ingresso era protetto da ponti levatoi, ed al 14 luglio era presidiata da circa sessanta Svizzeri veterani e comandati da un governatore; alcuni vecchi cannoni di piccolo calibro erano messi sopra le terrazze delle torri. Questo apparecchio di difesa non era formidabile; ma un timore che teneva della superstizione era radicato nel popolo; si raccontavano maravigliose avventure. Da alcuni secoli si richiudevano in essa le più nobili vittime del dispotismo. Alcuni prigionieri che avevano avuto la fortuna di uscirne ne avevano pubblicate spaventevoli relazioni. Queste torri formidabili, le scolte vigilanti che non permettevano a chicchessia di gettarvi uno sguardo furtivo, i numerosi custodi che mettevano terrore pel loro bieco guardare e più ancora pel loro silenzio, tutto concorreva ad ispirare timore ed irritare la curiosità. Questa prigione di stato d’altronde non era al popolo pericolosa: essa non era destinata che per le persone di nascita ragguardevole o per i letterati che avevano la cattiva ventura di dispiacere al ministero. Ma al bisogno di soddisfare la propria curiosità si univa anche il sentimento di una nobile compassione per le vittime numerose che credevansi colà rinchiuse, e tutta la popolazione di Parigi volle conquistare la Bastiglia. Una considerevole quantità di fucili ed alcuni cannoni erano conservati all’ospizio degli Invalidi; si indicarono alla moltitudine che se ne impossessò, e quindi presentossi alle mura della fortezza avendo alla testa le guardie francesi. Si tirarono alcuni colpi di cannone che non portarono molto danno alle muraglie; il governatore vi rispose con altri, e le palle si perdettero nella strada S. Antonio; il terrore e la rabbia furono bentosto al colmo. Il governatore non avea munizioni, né sufficiente truppa; mancava anche di ordini precisi per difendersi. Egli fece, dicesi, abbassare il ponte levatoio per ricevere una deputazione di patriotti che gli veniva a proporre la resa. Hulin, dappoi generale, che faceva parte di questa deputazione, mi raccontò che entrando con i suoi compagni nella corte del governatore furono ricevuti a colpi di fucile. Il governatore venne arrestato, subito dopo anche il maggiore svizzero, e la Bastiglia fu presa. Questi due ufficiali vennero trascinati sino alla piazza di Grève, oppressi da colpi e da maledizioni. Lo sfortunato maggiore passò avanti le nostre file, era una persona d’alta statura e di aspetto venerabile; due forsennati lo stringevano alla gola gridando: Ecco lo scellerato! Questo infelice cercava non pertanto di conservar buon contegno, ma il terrore e l’agonia erano dipinti sul suo volto. Dopo alcuni passi noi sentimmo la scarica di un’arma da fuoco, era un colpo di pistola che terminava le sue angoscie.

Memorie e rimembranze del conte Lavalette,
Milano, Tipografia Pirotta 1840

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