La ritirata ha inizio

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La ritirata ha inizio

Dopo più di un mese di permanenza a Mosca e di attesa, Napoleone si decide ad agire. Non si è riusciti a porre fine alla guerra ed ora occorre mettere al sicuro quello che resta dell’Armata e passare il prossimo inverno. Il 19 ottobre 1812 le divisioni francesi abbandonano per sempre la capitale dello zar e si dirigono verso la Polonia e le loro basi di rifornimento. Nell’estratto che ripotiamo dalle memorie del generale Rapp ci viene raccontato della partenza e di come i russi, rendendosi conto dei movimenti francesi, inizino ad ostacolarli e a rallentarli con azioni di logoramento. Rapp accenna alla battaglia di Malojaroslawetz nella quale si distinsero in particolare i reparti italiani al comando del principe Eugenio, e di come, nonostante le difficoltà di una ritirata in territorio ostile, la Grande Armée fosse sempre capace di opporsi efficacemente ai russi.
Il generale riporta un episodio accadutogli in prima persona a poca distanza dal campo di battaglia. Mentre Napoleone si avvicinava al luogo dei combattimenti attorniato dagli aiutanti di campo e dalla scorta, un gruppo di cosacchi comparve all’improvviso e solo la pronta reazione di Rapp e degli uomini del servizio di scorta permise la fuga dell’Imperatore. Il coraggioso generale ne uscì praticamente incolume ma ebbe un cavallo ucciso da un colpo di lancia. Nel bollettino della Grande Armata dove si riporterà l’episodio, non si lesineranno elogi al suo valore.


Napoleone sotto attacco caosacchi, La ritirata ha inizioI cosacchi attaccano la scorta di Napoleone


… mi portai di buon’ora al Kremlino, ma appena giungeva al palazzo, che Napoleone ne usciva per abbandonare per sempre Mosca. Egli mi vide: «Spero che non mi seguirete a cavallo, ché non siete in istato di far lo: potete mettervi in una delle mie carrozze». Lo ringraziai, e gli risposi che credeva d’essere in caso d’accompagnarlo. Abbandonammo questa capitale, e prendemmo la strada di Kaluga; ma quando avemmo fatte circa tre leghe, l’Imperatore si fermò per attendare notizie di Mortier, che aveva ordine di far saltar in aria il Kremlino abbandonando la città. Passeggiava in una campagna col signor Daru, e quando questi se ne parti, io fui chiamato. «Ebbene, Rapp, noi ci ritiriamo sulle frontiere della Polonia per la via di Kaluga: prenderò de’ buoni quartieri d’inverno, e spero che Alessandro farà la pace». «Voi avete atteso ben lungamente, o Sire; gli abitanti ci pronosticano un inverno rigido». «Bah bah! co’ vostri abitanti! Noi siamo oggi ai 19 di ottobre, e guardate che bel giorno: non riconoscete la mia stella? D’altra parte non poteva partire prima d’aver posto in viaggio quanti malati e feriti vi si trovavano: non doveva abbandonarli al furore de’ Russi. «Credo, o sire, che avreste fatto meglio a lasciarli in Mosca: i Russi non avrebbero fatto loro del male; mentre adesso sono a pericolo, per difetto di soccorsi, di morire sulle grandi strade». Napoleone non n’era persuaso, ma tutto quello che mi diceva a titolo di incoraggiamento non convinceva lui stesso: sul suo viso vedevasi impresso il turbamento. Finalmente giunse un ufficiale che era stato spedito dal maresciallo: era il mio aiutante di campo Turkheim, il quale ci disse che Mosca era tranquilla, che qualche branchi di Cosacchi eran apparsi ne’ sobborghi, ma che non avevano ardito di avvicinarsi né al Kremlino, né a’ quartieri ancora occupati dalle truppe francesi. Ci riponemmo in cammino, e la se raggiugemmo a Krasno-Pachra. L’aspetto del paese non sorrideva a Napoleone: l’orrido viso, l’aria selvaggia di quegli schiavi muovevano a sdegno persone avvezze ad altri climi. …
Ci dirigemmo sopra Borusk, nella quale arrivammo il quarto giorno, e che trovammo abbandonata. Intanto Kntusow occupavasi tranquillamente a fare i suoi proclami: se ne stava tranquillo nel suo campo di Tarentino, non spiegava né la sua fronte, né le sue ali, né punto immaginavasi la mossa che noi facevamo. Finalmente seppe che marciavamo sopra Kaluga; e tosto levò il suo accampamento, e comparve a Malojaroslowitz nell’istesso tempo delle nostre colonne. S’attaccò la battaglia: noi udivamo da Borusk un cannoneggiare lontano. Io dolorava molto della mia ferita, ma non voleva abbandonare Napoleone. Montammo a cavallo, e verso sera giungemmo in vista del campo di battaglia: combattevasi ancora, ma tosto cessò il fuoco. Il principe Eugenio aveva presa una posizione, che dovette essere difesa a oltranza: le nostre truppe s’ erano coperte di gloria. una giornata che l’esercito d’Italia deve registrare ne’ suoi fasti. Napoleone fece bivacco ad una mezza lega di là, e il giorno seguente montammo a cavallo per osservare il terreno in cui si aveva combattuto: l’Imperatore trovavasi tra il duca di Vicenza, il principe di Neucltàtel e me. Avevamo appena lasciato le capanne in cui avevamo passata la notte, che scoprimmo un nugolo di Cosacchi che sboccavano da un bosco posto sulla nostra diritta: erano assai bene in arnese, onde noi li prendemmo per cavalleria francese. Il duca di Vicenza fu il primo che li riconobbe. «Sire, sono i Cosacchi» «Non è possibile», risponde Napoleone. Essi ci piombavano addosso gridando quanto ne avevano in gola: afferrai il suo cavallo per la briglia, e lo rivolsi indietro io stesso.
«Ma sono i nostri?» «Sono i Cosacchi; affrettatevi». «Sono propriamente loro», disse Berthier. «Senza dubbio», soggiunse Mouton. Napoleone diede alcuni ordini, e s’allontanò: io m’avanzai alla testa dello squadrone di servizio: fummo respinti, il mio cavallo ricevette un colpo di lancia, profondo sei pollici, e cadde rovescione sopra di me: noi fummo calpestati dai Cosacchi. Per buona sorte scoprirono a qualche di stanza un parco d’artiglieria; essi vi accorsero; ma il maresciallo Bessières ebbe campo di arrivarvi co’ granatieri a cavallo della Guardia: ei gli incalza, e ritoglie loro le carrette ed i cannoni che conducevano seco. Mi raddrizzai in piedi, fui riposto in sella, e mi strascinai fino al bivacco. Quando Napoleone vide il mio cavallo coperto di sangue, temette che fossi stato di nuovo colpito, laonde mi chiese se io era ferito: gli risposi che mi era salvato con solo qualche contusione; allora si mise a ridere del nostro accidente, che per altro io trovai poco piacevole. Fui assai risarcito dal ragguaglio che pubblicò su questo fatto d’armi, in cui mi colmò di lodi: non ho mai gustato piacere simile a quello che provai nel leggere le cose gentili che diceva di me. “Il generale Rapp”, riferiva il bullettino, “ebbe un cavallo ucciso sotto di sé in questa zuffa. Il coraggio di cui questo ufficiale generale ha dato tante prove si appalesa in ogni circostanza”. lo ridico con orgoglio le lodi di quel grand’uomo, le quali non dimenticherò giammai.

Memorie del generale Rapp, ajutante di campo di Napoleone,
scritte da lui medesimo, volgarizzate da F. Sala,
Tipografia e libreria Pirotta e C., Milano 1840

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