Liberali e cattolici nel Piemonte sabaudo

Prosperi: la giovinezza tra Lucca, Roma e il Piemonte

Parte III

Liberali e cattolici nel Piemonte sabaudo

Trasferitosi nel collegio dei gesuiti di Novara intorno al 1821 (la prima lettera piemontese di padre Prosperi che ho rinvenuto risale proprio a quell’anno), il religioso lucchese si interessò di mineralogia; lesse e diffuse i testi di Cesare Lucchesini in Piemonte, anche presso professori universitari di Torino; compose un testo di grammatica, grazie alla collaborazione con l’amico Cesare, che cercò di pubblicare. Di se stesso fece sapere di «stare benissimo, d’essere contentissimo; di vivere tranquillo in una religione a cui Dio lo condusse senza neppur accorgersene».


piazza-castello-a-torino-1852Veduta di Piazza Castello a Torino, metà XIX secolo


L’unica lamentela che inviò all’amico Cesare riguardò la scarsezza dei mezzi a disposizione per comporre testi di grammatica. Rilasciò preziose notizie sulla Compagnia di Gesù in Piemonte, che investivano principalmente il ruolo guida dei gesuiti nel campo dell’istruzione.

«È ora di darle qualche notizia della nostra Compagnia qui in Piemonte. Le scuole pubbliche della Capitale, tanto quella del Carmine, che quelle di S. Francesco sono state date alla nostra direzione. In Torino presentemente abbiamo due collegi, il collegio de’ Nobili di 120 convittori, e il collegio delle Province composto da teologi, legali e medico-chirurghi. A Sciamberi si è pure aperto un convitto. Un altro a Nizza già da qualche anno. Questo di Novara è numeroso di 110 convittori. Si sono pure accettati due altri collegi che S. M. ha desiderato che si stabilissero in Cagliari, e in Sassari. Il C. Bellotti è Rettore e maestro de’ Novizi della casa di Chieri. Il padre Grassi, come saprà, partì da Genova per portarsi a Napoli, dove si trova attualmente. Non so però se sappia che (essendoci stato restituito il Collegio Romano) nell’anno venturo professerà la Rettoria in Roma del detto collegio».

Padre Prosperi nel collegio gesuita di Novara insegnò grammatica superiore e lingua greca. I coadiutori insegnavano generalmente grammatica, retorica e dottrina cristiana; tuttavia non mi è stato possibile appurare se padre Prosperi fosse un padre professo, poiché non sono in possesso di documenti che certifichino il grado di appartenenza all’ordine del religioso.
Un collegio particolare, quello di Novara, davvero espressione del contesto politico della Restaurazione. Affidato in modo definitivo ai gesuiti nel 1818, nel periodo di residenza di padre Prosperi vi divenne rettore (dal 1822 al 1824) padre Luigi Taparelli, con cui il nostro, in quel preciso momento, doveva avere ottimi rapporti, visto il modo giocoso con cui parla di lui all’amico Cesare Lucchesini nelle lettere. Padre Taparelli nel 1822 – pochissimo tempo dopo i moti del 1821 – ebbe l’incarico di redigere un nuovo regolamento, che avrebbe dovuto servire da modello a tutte le scuole del Regno. Secondo il suo principale biografo, Jacquin, esso era più adatto ad un noviziato che ad una scuola laica. Comprendeva 205 articoli, e sembra che la polizia sia dovuta intervenire qualche volta per sorvegliarne l’applicazione, dato l’estremo rigore cui era improntato.
Le parole di padre Prosperi all’amico Cesare Lucchesini appaiono piuttosto eloquenti circa il rigore vigente all’interno della Compagnia di Gesù:

«Me fortunato se potessi a mio piacimento carteggiare con lei! Ma son figlio di obbedienza già da sei anni, ne posso a mio agio scriver lettere, o rispondere a quelle che ricevo. A questo proposito l’avviso che le sue lettere mi saran sempre carissime quanto altra cosa mai, ma nel tempo stesso la prego a non meravigliarsi se talvolta non le rispondessi, o non le rispondessi subito per la ragione enunciata. Ella sa cosa vuol dir gesuita!».

Nel suo caso le frasi così espresse nulla tolgono alla gioiosa serenità, almeno apparente, che traspare dai suoi scritti, soprattutto quando parla dei suoi allievi e dell’insegnamento, cui si dedicò con passione per tutta la vita. Scrive padre Prosperi in una lettera indirizzata al Lucchesini:

«Per qualche tempo ho dovuto fare perfino sette ore di scuola per ogni dì. Ma per dir qualche cosa di quella lingua Greca, io le confesso ingenuamente che questi giovani che vo’ istruendo col loro impegno che mi hanno dimostrato d’impararla sin dal principio mi hanno stimolato a darmici più di proposito. Trentasei sono gli scolari che hanno fatto progressi stupendi».

Il clima politico prodotto dalla Restaurazione si affermava, e la condizione generale dell’Ordine gesuita rispondeva pienamente alle necessità dei principi che tornavano ad occupare i vecchi troni. Dato il contesto politico descritto, possiamo facilmente immaginare quale fosse la reazione di questi Stati d’ancien régime presenti nella penisola (ed il Piemonte sabaudo non fece eccezione), verso qualsiasi principio scaturito dalla rivoluzione francese, di qualunque natura esso fosse; certamente tutt’altro che tenero con chi voleva modificare l’ordine costituito.
Si formò però, a partire da questi anni, nonostante il clima politico retrivo che vi si respirava, un ceto dirigente liberale, che annoverò al suo interno un numero consistente di uomini professanti la religione cattolica, molti dei quali passeranno attraverso il neoguelfismo. Il dispotismo in atto non potette dunque evitare che si sviluppasse, parallelamente alla visione legittimista e teocratica, una concezione della Chiesa più vicina al popolo e l’idea di un papato che avrebbe dovuto affidare la garanzia della sua indipendenza non alla forza e al potere, ma all’adesione, al consenso, al sostegno dei popoli. Era la cultura delle correnti romantiche europee, ma anche il terreno da cui prendeva forma il cattolicesimo liberale e in Italia quella vasta corrente guelfa che andò a costituire fino al 1848 il variegato preludio religioso del Risorgimento. Fra questi uomini possiamo annoverare alcuni membri di casa d’Azeglio. Padre Prosperi ebbe con Cesare d’Azeglio un rapporto molto confidenziale che traspare in una lettera del 1830, in cui ricorda con commozione e viva partecipazione il decesso del marchese:

«Avrà udito nuova della morte dell’ottimo marchese d’Azeglio seguita in Genova; ho perduto molto in questa prudentissima persona, perché oltre i molti favori compartitimi, ritrovai in lui un consigliere giusto e sincero».

Non tutti gli esponenti di questa illustre famiglia ebbero idealità analoghe a quelle del patriarca Cesare, divenuto un “ultra” moderato. Il figlio Luigi, che padre Prosperi conobbe a Roma e che fu poi suo superiore, divenne padre gesuita mentre i fratelli Massimo e Roberto figurano tra i più importanti uomini del nostro Risorgimento.
Non posso perciò escludere che padre Prosperi, dopo l’esperienza piemontese, abbia maturato idealità cattolico-liberali anche grazie alla frequentazione dei membri di quella importante e multiforme famiglia che lui conobbe. È certo che il religioso lucchese seguì un suo percorso ideologico, non restando immune all’idea che la Chiesa, argine e filtro delle idee rivoluzionarie, dovesse assumere un ruolo politico propulsivo verso il cambiamento di fronte al dominio austriaco.

Elena Pierotti

Fonti:
Biblioteca di Stato di Lucca:
Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini da Novara, 13 novembre 1823.
Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi. a C. Lucchesini da Oleggio, 2 ottobre 1821.
Manoscritto 1372, lettera di G. Prosperi a C. Lucchesini, 13 dicembre 1830.

 

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