III – L’illusione dello scontro “decisivo”

III – L’illusione dello scontro “decisivo”

Il Niemen fu superato dai francesi il 24 giugno e fu subito occupata Kovno, senza che vi fosse alcun combattimento, neanche una scaramuccia.
Napoleone era stupito dal fatto che nemmeno la cavalleria di Gioacchino Murat avesse ancora trovato tracce del nemico, ma ben presto dovette prendere atto del fatto che i russi avevano scelto la tattica della “terra bruciata”; avevano cioè intenzione di ripiegare, distruggendo tutto alle proprie spalle. Venne poi a sapere che il generale Bagration si stava spostando verso nord, per riunire le sue forze con quelle del barone Barclay de Tolly: i russi, evidentemente, avevano intuito i suoi piani.


Eugene_Beauharnais_Crossing_Niemen_1812 campagna di RussiaIl corpo d’armata italiano del principe Eugenio attraversa il Niemen, 30 giugno 1812


Napoleone decise allora di concentrarsi sulla 2° armata occidentale: egli doveva occupare rapidamente Vilna, che sarebbe diventata il centro delle operazioni, mentre suo fratello Gerolamo avrebbe dovuto volgere contro le truppe di Bagration, per impedir loro di fuggire verso oriente. Tuttavia, prima di muoversi, bisognava attendere che Eugenio de Beauharnais, già in ritardo di due giorni, arrivasse per porre al sicuro le retrovie.
Il 26 si venne a sapere che il punto d’incontro delle forze russe sarebbe stato Vilna.
Napoleone, rassicurato dall’arrivo del principe Eugenio, si spinse sulla città; le speranze che l’imperatore riponeva in una battaglia decisiva, però, caddero in frantumi. Vilna, infatti, fu presa senza combattimenti, il 28 giugno.
La Grande Armée rimase nella città sino al 16 di luglio. Il 1° del mese, Napoleone aveva ricevuto Balachof, ministro della polizia dello zar, inviato da Alessandro per esprimere la sua sorpresa nel vedere la Russia invasa, senza che vi fosse stata alcuna dichiarazione di guerra. Se i francesi fossero tornati indietro, affermava lo zar per bocca di Balachof, si sarebbero potuti intavolare, sin da subito, i negoziati di pace. L’imperatore era però deciso a proseguire e, nonostante Balachof gli avesse ricordato la disastrosa fine di Carlo XIV di Svezia, non volle scendere a compromessi, adducendo come giustificazione all’invasione il mancato rispetto, da parte dei russi, dei precedenti trattati con la Francia.
Intanto, l’imperatore aveva deciso di dividere l’armata in diversi gruppi: Murat doveva seguire Barclay verso Svenčionis, mentre Gerolamo e Davout avrebbero cercato di incalzare Bagration.
Era ormai chiaro che la campagna di Russia si sarebbe prolungata ben oltre i venti giorni previsti inizialmente, troppo ottimisticamente, da Napoleone.
Il 1° luglio, l’imperatore fu informato che Bagration si stava dirigendo verso Vilna. Il piano stabilito per intercettare le forze russe fallì a causa dell’incapacità  di Gerolamo, che non si era mosso per sbarrare la strada al nemico; dopo che Napoleone lo ebbe accusato di non comprendere nemmeno i più elementari principi bellici, il re di Westfalia reagì stizzosamente, lasciando l’armata e rientrando nel suo regno con tutta la Guardia (25 mila uomini). Il comando fu quindi temporaneamente affidato a Davout.
Al dunque, la prima manovra contro Bagration era fallita clamorosamente.
Nel frattempo, Barclay de Tolly aveva trovato riparo nelle fortificazioni di Drissa e Dǖnaburg, preparate già da molto tempo per bloccare la strada per Pietroburgo. Napoleone si rendeva conto che era necessario far evacuare il nemico dal campo trincerato, ed elaborò la “manovra su Vitebsk”: Murat avrebbe tenuto occupato il nemico a Drissa, mentre il corpo centrale, oltrepassata la Dvina, avrebbe minacciato le vie di comunicazione tra Barclay e Pietroburgo. Il 19, però, Murat riferì all’imperatore che i russi se ne erano andati da Drissa, ancora una volta senza combattere. Ritenendo che Barclay sarebbe passato per la strada di Orša per raggiungere le altre forze russe, Napoleone radunò la maggior parte delle forze a Kamen, ma contrariamente a quanto egli aveva pensato, la località dove le forze si sarebbero riunite non era Polotsk, bensì Vitebsk.
I francesi puntarono sulla città per costringere al combattimento lo sfuggente avversario. Il 26 e il 27 i russi sembravano ormai disposti a fermare la propria ritirata: la cavalleria di Murat fu impegnata dalle forze russe a Ostronovno (o Ostrowno), a sei leghe da Vitebsk, e questo fu il primo combattimento dall’inizio della campagna. Le perdite russe furono in tutto 4 mila, fra morti e prigionieri; quelle francesi invece erano appena 1300.


Battle_of_Ostrovno_1812, campagna di RussiaBattaglia di Ostronovno, 25 luglio 1812


Napoleone, tuttavia, esitò e non attaccò immediatamente, lasciando così la possibilità a Barclay di recarsi a Smolensk; ma il 28 luglio dovette apprendere che tutte le armate russe si erano dileguate durante la notte. Avanguardie francesi penetravano già a Vitebsk, dove i russi avevano bruciato i magazzini cittadini, e quasi tutta la popolazione era in fuga.
Dall’inizio delle operazioni, la Grande Armée si era notevolmente indebolita: mentre il corpo centrale perdeva compattezza, i “ritardatari” continuavano ad aumentare, e i moribondi e i morti giacevano, sempre più numerosi, ai bordi della strada. Le principali cause di decesso erano: il caldo di luglio, portatore di numerosi temporali e piogge molto violente; la fame; le marce forzate; gli alcolici (tra cui il “rompipetto” e l’acquavite); varie sostanze narcotizzanti (come la canapa). A tutto ciò va poi sommata la perdita di cavalli, un dramma che indeboliva l’esercito e in particolare, ovviamente, la cavalleria. Pertanto, l’imperatore decise di fermarsi a Vitebsk per otto giorni.
Molti, non solo tra i soldati, ma anche tra i sottufficiali e gli ufficiali, speravano che lo scopo della guerra fosse ormai stato raggiunto: la Lituania era completamente in mano ai francesi, l’ala sinistra dell’armata si estendeva fino a Riga, quella destra era entrata a Mohilev, i russi erano stati respinti al di là della Dvina e del Dnepr. Ma Napoleone era intenzionato a firmare la pace solo dopo la conquista di Mosca, capitale morale e religiosa della Russia: non si sarebbe fermato prima, né a Vitebsk né a Smolensk.
Intanto la cavalleria continuava ad avanzare. Dalla fine di luglio sino al 16 agosto si ebbero numerosi piccoli combattimenti sull’ala sinistra e su quella destra; la prima battaglia si ebbe il 18 a Polotsk, e la vittoria (anche se i francesi erano in netta maggioranza) tranquillizzò momentaneamente Napoleone.
Inoltre, c’erano state anche numerose azioni periferiche, come quella che, nella zona più settentrionale dello schieramento francese, portò il generale Macdonald ad occupare Dǖnaburg. Queste azioni dimostrano l’incredibile estensione del fronte francese: mentre all’inizio della campagna era lungo 400 chilometri, ora era più che raddoppiato.
Le risorse di Napoleone erano ormai molto scarse in profondità; a Smolensk il gruppo centrale era composto da soli 156 mila uomini. Insomma, la Grande Armèe aveva già perso un terzo dei suoi effettivi. Alle difficoltà create dal clima e dal territorio si andavano poi ad aggiungere le continue e veloci incursioni dei cosacchi, che esacerbavano il nervosismo e la spossatezza dei soldati.
Nonostante i numerosi sforzi francesi, alla fine le truppe russe erano riuscite a ricongiungersi a Smolensk: Napoleone disponeva di circa 185 mila uomini sotto il suo diretto controllo. L’imperatore elaborò il futuro piano d’attacco, la “manovra di Smolensk”, che aveva come obiettivo quello di prendere alle spalle i russi per costringerli a combattere.
L’8 agosto, 12 mila cavalleggeri russi, tra cui i cosacchi di Platov, attaccarono l’avanguardia del generale Horace Sébastiani presso Inkovo, ma l’intervento della cavalleria evitò la disfatta.
Ormai lo scontro era vicino: Barclay e Bagration avrebbero attaccato l’ala sinistra dello schieramento francese, poiché sia lo zar sia l’opinione pubblica russa più non tolleravano la continua ritirata, e volevano un contrattacco. Tuttavia, i contrasti tra i due generali impedirono che la tanto attesa offensiva avesse luogo.
Napoleone riprese allora i preparativi per la “manovra di Smolensk”. Il piano che egli elaborò è stato considerato da molti studiosi un vero e proprio capolavoro di strategia militare, ma purtroppo l’imperatore non riuscì a concretizzarlo. Bisognava suddividere un battaglione di 200 mila uomini in due colonne, che avrebbero aggirato la sinistra russa. Il 14 agosto, 175 mila soldati oltrepassarono il ponte sul Dniepr, fatto costruire dal generale (e ingegnere) Jean-Baptiste Eblé. Venne subito dato l’ordine di avanzare su Smolensk. La prima opposizione da parte russa fu incontrata a Krasnoe, a una cinquantina di chilometri da Smolensk. Nonostante i tentativi di Murat, non si riuscì a rompere la coesione delle forze nemiche, e i russi poterono tranquillamente ritirarsi a Smolensk.
Napoleone aveva perso la possibilità di un effetto sorpresa.
Il vecchio quartiere della città era circondato da 6 chilometri di mura fornite di trentadue torrioni, oltre le quali c’era un fossato molto profondo; va comunque detto che tali fortificazioni non erano in buono stato. A ovest della città sorgeva un forte in terra, detto “il bastione reale” o la “Cittadella reale”. Un ponte univa le due rive del Dnepr dove si congiungevano le strade per Mosca e per Pietroburgo.
L’armata vi arrivò il 16 agosto. Nella giornata del 17, si ebbero numerosi attacchi nei sobborghi. I francesi persero 10 mila soldati (secondo quanto riportato da Chandler, mentre Blond riduce il dato a 6 mila unità, sottolineando comunque la difficoltà di elaborare stime precise); i russi persero tra i 12 e i 14 mila uomini. All’una del mattino del 18 agosto, gli ultimi russi rimasti a difendere la città si ritirarono, ricongiungendosi con il grosso dell’armata, che si trovava sulla riva destra, e bruciando tutti i ponti.
Napoleone entrò quindi a Smolensk, verso le sei del mattino. I numerosi feriti vennero sistemati in una quindicina edifici, trasformati in ospedali.


Battaglia di Smolensk, 1812 - Campagna di RussiaNapoleone alla battaglia di Smolensk, 17 agosto 1812


In questa giornata, i già difficili rapporti tra Bagration e Barclay si aggravarono ulteriormente, e le loro armate restarono a lungo separate; ma Napoleone si lasciò sfuggire l’occasione di mandare le sue forze in mezzo alle due armate russe, probabilmente anche perché non era ben informato riguardo ai movimenti delle truppe nemiche. Solo il 19 agosto i francesi iniziarono l’inseguimento.
A Valutino i russi, appostati sulle alture ai lati della strada di Mosca, cannoneggiarono il terzo corpo e, cacciati dalle truppe di Ney, si riammassarono più volte un po’ più lontano, aumentando sempre di numero, sino a diventare 15 mila. Il combattimento terminò con 6 o 7 mila uomini fuori combattimento da una parte e dall’altra, senza alcun risultato: i russi ripresero subito la loro ritirata. Il rifiuto del generale Jean-Andoche Junot di attaccare le truppe di Barclay impedì di bloccare il nemico.
Anche il terzo tentativo dell’imperatore di combattere una battaglia campale determinante e “decisiva” era, quindi, andato in fumo.

L. Sansone

 

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