Padre Prosperi, tra Rosmini e il duca di Borbone

Padre Prosperi, tra Rosmini e il duca di Borbone

Un cammino ideologico, quello di padre Prosperi, certamente singolare. Non posso dimostrare che il sacerdote divenne seguace di Rosmini a Torino; certo è che, in quegli anni, l’ambiente religioso e culturale delle Amicizie era frequentato anche dal Roveretano. Del resto il cattolicesimo liberale, di cui Rosmini fu espressione, ebbe come luogo d’elezione i territori lombardo-piemontesi ed i rapporti che Rosmini intrattenne con le autorità religiose sono riconducibili prima a Torino che a Milano. Rosmini sapeva che a Torino avrebbe potuto trovare terreno fertile per costruire una terza via, alternativa sia all’Amicizia che al gallicanesimo locale.


Lodovico di BorboneCarlo Lodovico di Borbone


L’arcivescovo di Genova Placido Tadini interpretò il pensiero del Roveretano come un valore aggiunto e, di concerto col nuovo sovrano Carlo Alberto, agevolò la diffusione del pensiero rosminiano nel Regno Sabaudo. Non possiamo ignorare che l’Istituto rosminiano è stato fondato proprio in terra piemontese, al Monte Calvario di Domodossola. Fulvio De Giorgi, parlando di Rosmini, sottolinea i rapporti tra lo stesso e l’arcivescovo di Novara Giuseppe Morozzo, che ebbe stretti legami con le Amicizie Cristiane. Il Morozzo, cognato di Cesare d’Azeglio, fu il padrino di battesimo di suo figlio Luigi Taparelli. Negli anni torinesi la dirompente figura del cardinale, che aveva avuto a Roma un importante passato politico, non lasciò indifferente, suppongo, neppure il battagliero padre Prosperi.

Dalla monografia di Luigi Venturini rinveniamo su Gioacchino Prosperi sommarie notizie biografiche. Non conosciamo al momento la data in cui Lucca divenne nuovamente per il nostro luogo di vita vissuta, in maniera stabile. È certo che nel 1835 vi pubblicò, presso la tipografia Ferrara, un’ode in onore del marchese Antonio Mazzarosa, in occasione dell’ingresso di questi nell’Accademia della Crusca. Padre Prosperi in patria, dopo le esperienze piemontesi, dovette affrontare una vita più complicata del previsto. Non ottenne subito, dopo il periodo trascorso nello Stato Sabaudo, una cattedra al Liceo cittadino lucchese.

È interessante notare tuttavia come riuscisse ugualmente, da «randagio per città e paesi toscani» ad «acquistarsi nome di predicatore facondo». Scrive Luigi Venturini:

«Dal 1839 al 1843 divise il suo ministero sacerdotale tra Lucca e la Corsica, [stabilendosi] pur definitivamente a Lucca e insegnò in quel Liceo e nel 1847 lo troviamo finalmente rettore della parrocchia di S. Anna, dove vi stette fino alla morte, sopraggiunta nel 1873, pur continuando l’insegnamento di storia universale nel Liceo divenuto Regio dopo il 1860. Fu ascritto socio della Regia Accademia di Lucca».

Maturò sin dagli anni quaranta del XIX secolo una spiccata propensione a condividere le idee di Antonio Rosmini Serbati. Ufficialmente, in patria, la vita di padre Prosperi appare comune, persino banale, ma acquista subito, dietro attenta lettura delle vicende che lo riguardano, significati diversi, con contorni non sempre ben definiti. Venturini ricorda:

«L’uomo fu assai segnalato in patria ai suoi tempi; poche vite come la sua furono, nella piccola cerchia della città e nella limitatezza dell’azione, contrastate, singolari, combattive, tanto da costituire pei lucchesi, quel che si dice un tipo, la cui memoria non è del tutto scomparsa nella tradizione cittadina. Era un uomo sui generis!».

In particolare, ricorda ancora Venturini, due lucchesi, il conte Giovanni Sardi e il dott. Cesare Morroni, lo definirono «uomo intelligente e bizzarro, strano e battagliero», intendendo con ogni probabilità soffermarsi sugli aspetti che più emergevano del suo carattere, senza suggerire le reali motivazioni di un comportamento non sempre in sintonia coi valori più diffusi del suo tempo. Padre Prosperi non ebbe infatti paura di confrontarsi con il contesto politico emergente di quegli anni.

Due sono i momenti essenziali che egli visse nel periodo della maturità: l’esperienza missionaria in Corsica ed il coinvolgimento nelle vicende del Quarantotto. Essere padre missionario in anni caratterizzati da decisivi cambiamenti politici e sociali significò anche per lui schierarsi, prender posizione in maniera circostanziata ed in sintonia col ruolo che la veste suggeriva. La Corsica, terra di missione, divenne quindi luogo elettivo per vivere sentimenti politici complessi, ma anche luogo di affetti e di ricordi.

Così si pronuncia Luigi Venturini:

«L’isola la visitò quasi tutta, avvicinando quasi tutti, con quella disinvoltura di modi e quella franchezza di parlare che dovevano essere in lui prerogative spinte molto innanzi. Certamente, l’impressione che il Prosperi ritrasse dalla Corsica e dai suoi abitanti fu fortissima, una impressione fatta di riconoscenza, di vanità, se vogliamo, soddisfatta, ma soprattutto di amore. Non so quanto i corsi siano stati trascinati dalle parole del Prosperi […] ma è che egli fu trascinato da un’ondata di affetto per i corsi che stupisce e commuove. Dopo il disperato amore che alla Corsica portarono il Tommaseo ed il Guerrazzi, bisogna proprio mettere anche il buon Prosperi!».

Le parole usate da Venturini, che ci parla del sacerdote lucchese e delle sue fatiche letterarie per il testo pubblicato a Bastia nel 1844 sull’isola, definendolo «missionario della Corsica», pongono l’accento sul valore della puntuale descrizione di Prosperi, sia sul piano geografico che culturale e sociale, del territorio dell’isola. Si evince dallo scritto pubblicato che il nostro volle trarsi fuori dal contesto ufficiale che il ruolo gli imponeva, e avventurarsi in un percorso di vita complesso e variegato.

L’opera, intitolata La Corsica e i miei viaggi in quell’Isola, è composta in forma epistolare.
Le lettere sono indirizzate al professor Gioacchino De Agostini torinese, che non appare minimamente un personaggio scontato. Luigi Venturini ammette in tutta franchezza di non essere riuscito ad avere notizie precise su di lui, stante però la certezza che si trattasse di un uomo in carne ed ossa, conosciuto da padre Prosperi con ogni probabilità negli anni piemontesi.

Sono riuscita a rinvenire qualche notizia sul De Agostini, autore dell’opera Il palazzo dei Cesari a Roma – Le sue rovine e gli scavi, edito a Vercelli presso la tipografia dei fratelli Guglielmoni nel 1871. Qui egli tratta degli scavi archeologici romani realizzati dal professore senatore del Regno Pietro Rosa. Nella seconda parte del testo in oggetto sono contenuti uno scritto di Angelo Brofferio unitamente ad una lettera inedita di Luigi Cibrario del 1833, che saluta in modo confidenziale l’amico Gioacchino De Agostini, indirizzandola a Cuorgnè, in provincia di Torino, non lontano da Rivarolo, dove padre Prosperi era rettore del collegio gesuita.

Nel libro menzionato De Agostini si rivolse in prima persona a Sua Eccellenza l’Ingegnere e Commendatore Quintino Sella, ministro del nuovo Regno italiano, suo diretto referente nelle pubblicazioni da lui già edite. Egli chiese espressamente al Sella di farsi garante in futuro di ulteriori pubblicazioni, entrando poi nel vivo di un suo precedente scritto, edito grazie all’interessamento del noto politico, sui reperti archeologici trovati dal console americano a Cipro e generale Luigi Palma di Cesnola.

Questi, personaggio singolare, condusse vita avventurosa; proveniva dalla famiglia dei marchesi di Cesnola ed era nipote di quell’Alerino di Cesnola che nel 1821 prese parte ai moti rivoluzionari piemontesi, finendo, dopo la repressione sabauda, in Grecia a combattere per la libertà di quel popolo. Visti i personaggi frequentati dal De Agostini, mi sono in tutta franchezza chiesta se negli anni torinesi Prosperi non avesse anche lui conosciuto o simpatizzato per idealità risorgimentali che poco avrebbero potuto avere a che fare con l’Amicizia Cristiana.

L’Archivio di Stato di Lucca conserva un documento che può suffragare la precedente ipotesi, con riferimento alla data di domenica 29 marzo 1846. Tale documento non è firmato, ma è stato inserito in un piccolo fascicolo di scritti di padre Prosperi. Confrontando i tratti grafici dello stesso con altre sue lettere, nonché le modalità di scrittura del documento, non rimangono molti dubbi che proprio il nostro abbia scritto quelle frasi patriottiche indirizzate agli abitanti della Corsica, che il testo contiene. Ad Ajaccio i fuochi di fronte alla chiesa di S. Rocco erano pronti e i patrioti stavano attendendo rinforzi, mentre padre Gioacchino Prosperi, che con tutta probabilità, vista la data, si trovava ancora in Corsica a predicare la Quaresima, sostenne ed incoraggiò questi patrioti, che avevano appena ricevuto la cattiva notizia della occupazione da parte delle truppe austriache di Cracovia. Un impegno politico, il suo, che lo vide coinvolto in prima persona in associazioni patriottiche?

In un piccolo paese della Lucchesia, Benabbio, nel comune di Bagni di Lucca, come avrò modo di chiarire in un prossimo capitolo, la tradizione orale vuole che sui colli del Belvedere fosse stato ospitato nel 1837 Luigi Napoleone Bonaparte, col beneplacito del duca Carlo Lodovico, quando Luigi Napoleone era perseguitato da Luigi Filippo d’Orléans. Solo leggende “metropolitane”? Forse no, se consideriamo che il duca Carlo Lodovico di Borbone fu un personaggio davvero singolare. È necessario riflettere sulla figura di questo monarca, sposato con Maria Teresa di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I, e considerato dagli storici un personaggio sui generis, per valutare meglio la figura di padre Prosperi. Mi sono posta al riguardo una semplice domanda: se il religioso lucchese era per l’ambiente cittadino un personaggio singolare, quali difficoltà potrebbe aver incontrato, ammesso che ne abbia incontrate, nei rapporti con il duca?

Elena Pierotti

 

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