Prosperi rettore del collegio di Rivarolo

Prosperi rettore del collegio di Rivarolo

Scrive Guido Verucci:

«All’inizio del 1827 il ministro degli Esteri russo Nesselrode, attraverso due circolari del 18 gennaio e del 12 febbraio agli ambasciatori russi accreditati in Italia, metteva in guardia i governi, non solo dalle azioni delle sette liberali, ma anche da quelle di società che sotto il pretesto della religione tendevano a conquistare il potere politico».

In particolare, passi diretti a manifestare le preoccupazioni russe per l’azione dell’Amicizia torinese furono fatti con l’ambasciatore sardo a Pietroburgo, conte di Sales, e con quello a Vienna, conte Beraudo di Pralormo.
L’atteggiamento della Russia era motivato dall’avversione ai gesuiti, di cui si vedeva la longa manus nell’Amicizia, e dal timore che gli eccessi della polemica antiliberale di cui era centro il gruppo cattolico torinese, finissero per favorire i liberali stessi. Visti i risvolti diplomatici (le accuse del governo russo ai coinvolgimenti internazionali dell’Amicizia Cristiana), Carlo Felice chiese al d’Azeglio che il sodalizio mutasse nome, ma ottenne da questi solo proteste. Il sovrano si sarebbe accontentato della promessa da parte dell’Amicizia di astenersi in futuro dal fare politica. Voleva prender tempo rispetto all’azione diplomatica russa che contro di loro si stava profilando, e considerava inoffensivo il carattere dell’Amicizia Cattolica.


dimostrazione-popolare-a-gioberti-al-suo-arrivo-a-torinoDimostrazione popolare a Torino all’arrivo di V. Gioberti


Il gruppo dirigente avverso a questa (Segreteria di Stato per gli Interni in particolare) esercitò un ruolo essenziale sul re nel convincerlo del contrario, in modo tale che il sovrano si risolvesse verso una chiusura nei rapporti con l’Associazione.
L’introduzione “per via straordinaria” di libri dai vari Stati italiani sfuggiva al rigido controllo della censura piemontese: l’Amicizia Cattolica in modo ufficioso riuscì a far diffondere in Piemonte opuscoli ed opere non preventivamente censurate dagli organi statali.
Non solo, ma si proponeva a sua volta di far censurare dal sovrano i testi non confacenti ai valori sostenuti dalle Amicizie.
Scrive in proposito Guido Verucci:

«Ancora nell’agosto 1827, quando già grave si profilava la minaccia su l’Amicizia (stante la diffamatoria campagna contro l’organizzazione dei suoi avversari) d’Azeglio indirizzò a Carlo Felice un memoriale, contenente un progetto di censura di opere stampate o introdotte nel regno, che istituiva una commissione sottoposta alla giurisdizione del presidente capo dell’Istruzione Pubblica, che era il Brignole; con i proventi delle ammende comminate si sarebbero dovuti stampare libri di carattere morale e religioso».

Dunque l’organizzazione si proponeva di gestire ed organizzare la pubblicazione e la diffusione dei «buoni libri».
L’interesse per i «buoni libri» ed il tentativo di coinvolgere Cesare Lucchesini nelle vicende de L’Amico d’Italia sono alcuni degli aspetti che emergono dalle lettere di padre Prosperi di quel tempo. Egli ci offre così, con i suoi scritti e le sue vicende di vita, l’occasione per entrare in punta di piedi in situazioni storiche complesse e decisive, per interpretare in modo personalizzato e da un’angolazione defilata alcuni tratti essenziali del nostro primo Risorgimento.
Innanzi tutto padre Prosperi inviò e ricevette da Cesare Lucchesini testi che poi fece visionare anche ad altri all’Università. Si trattò di libri di grammatica greca, che lui stesso compose, componimenti sotto forma di lettere su classici greci, odi.

«Io proseguo con più impegno la fatica incominciata, la quale finita qualche padre di questo collegio mi lusinga che potrà essere utile ancor per altri, quando si pubblicasse; ma questa è cosa da non condurvi a fine così a fretta dovendo io far due scuole [ha più incarichi] e non avendo libri sufficienti per esaminare. Qui non ho che Omero, Callimaco ed Eschilo. Aspetto Pindaro, Teocrito ed Esiodo…».

Prosperi scrisse al Lucchesini nel 1823:

«Ho ricevuto non molto dal padre Grassi tre suoi componimenti. Una lettera sopra alcuni passi creduti spuri della Odissea di Omero, un’altra sopra un giudizio dato intorno al Tetrarca da un anonimo francese, un’ode finalmente di Pindaro trasportata in volgar poesia».

Egli tentò di coinvolgere il noto erudito lucchese nei dibattiti in corso sul periodico L’Amico d’Italia di quel periodo. Utilizzò padre Prosperi le modalità di diffusione dei testi provenienti dall’estero, adoperate da alcuni religiosi e non approvate in via ufficiale in uno Stato tipico dell’età della Restaurazione qual era quello sabaudo del tempo, che faceva della revisione della stampa un momento essenziale per salvaguardare la sicurezza nazionale?
L’avvocato collegiato Bessone, revisore per le stampe del regno Sabaudo, di cui parla ampiamente Vincenzo Gioberti nel Gesuita moderno, si mostrò molto preoccupato per la diffusione degli opuscoli d’ispirazione ultramontana, messi in atto dai soci dell’Amicizia Cattolica. Bessone conosceva bene l’influenza che il gruppo dell’Amicizia Cattolica era in grado di esercitare sul governo e, appunto per evitare intralci e remore, chiedeva che il ministero impartisse al riguardo delle precise direttive.
Padre Prosperi apparteneva o gravitava all’epoca intorno a quel gruppo di religiosi gesuiti che si lasciarono coinvolgere nelle pratiche cui Bessone fa cenno? Possiamo solo supporlo, ma di certo non possiamo provarlo. Non ho trovato sufficienti elementi per suffragare questo tipo di ipotesi come una delle cause del suo allontanamento successivo dal Piemonte. Di padre Prosperi certa è invece, di quegli anni, la pubblicazione dell’ode di Lanzo in memoria di S.M. il re Carlo Felice, pronunciata nel 1831 ed edita nel medesimo anno presso la tipografia Marietti di Torino, quel Marietti che diverrà amico di Antonio Rosmini.
Con la franchezza che lo contraddistinse, il religioso lucchese sostenne all’epoca che «L’Eccellentissimo Magistrato della Riforma, arrivato appena da Cuneo a Torino [lo pose] alla testa di un collegio [i Rivarolo] senza avergliene fatto neppur parola, il rifiutare l’offerta mi parve allora cosa da non farsi [ripeté] onde à che corre ora il terzo anno da che mi ci trovo, e non potrei abbandonare l’impresa senza mature deliberazioni e quindi senza un tempo sufficiente per far le debite riflessioni al Magistrato della Riforma, perché venisse alla nomina d’altro soggetto da essermi surrogato».
Padre Prosperi che, da gesuita, divenne dunque in quegli anni rettore di un collegio, avrebbe voluto trovare un’ occupazione in patria e lasciare il Piemonte, ma nel 1830, anno indicato dal nostro, tale possibilità sembrava remota, causa gli impegni ivi contratti. Tutto ciò lo riscontriamo in questa lettera da cui ho tratto la citazione, significativa, a mio avviso, in ogni suo passo. Questo documento indica lo stato d’animo e le difficoltà del religioso, ed anche il “non detto” che contiene, ha suscitato il mio interesse, facendomi riflettere su una condizione quantomeno di disagio in cui palesemente sembra trovarsi il nostro in quel preciso momento.
Egli scrive che «Il rifiutare un dono è assolutamente, credo, un’inciviltà,[…] eppure io mi trovo nella critica circostanza di dover commettere una increanza di cotal fatta, e commetterla con Lei [Lucchesini] verso cui per i preteriti come presecenti beneficii son legato da vincoli di doverosa e sincera riconoscenza».
Egli si riferisce qui all’incarico offertogli dallo stesso Lucchesini e da Antonio Mazzarosa, altro eminente lucchese suo amico, di una cattedra come insegnante nel Liceo della loro città, offerta gradita che in quel momento egli non potette accogliere.
Un disagio, il suo, manifestato anche in occasione dello smarrimento di un’ode che il Lucchesini aveva composto e che gli aveva inviato a Novara.

«Delle sue Odi Olimpiche ricevei la prima; ma richiestami questa dal fu professor d’Eloquenza nell’Università di Torino gliela mandai; egli nell’anno stesso morì, e non so se con se nella cassa siasi anche portata quell’ode, perché non si è più ritrovata per quante ricerche si siano fatte».

Perché tanto affanno, mi sono chiesta, nella ricerca di un documento che sì, per i costi materiali che una pubblicazione poteva avere all’epoca, ed anche per il valore affettivo che il nostro poteva dargli, può essere parzialmente giustificata, ma forse, credo, non con tanta intensità. In questo periodo ci sono alcuni perché senza risposta su padre Gioacchino Prosperi, a cominciare dagli annali dell’ archivio della Compagnia di Gesù di Roma, ordinati a partire dal 1830, in cui egli non compare, mentre possiamo affermare con certezza che ancora nel 1831 è rettore nel collegio gesuita di Rivarolo, in provincia di Torino, nominato dal Magistrato della Riforma nel 1827, come si evince dalla lettera del 1830 e dall’ode in memoria di S. M il re Carlo Felice, scritta e letta in Lanzo nel 1831, pubblicata in quello stesso anno.
Abbandonata, lo presumiamo, la Compagnia, lo ritroviamo a Parigi, per sua stessa ammissione, nel 1833, ammirato, in place Vendôme, di fronte alla colonna fatta erigere da Napoleone I per celebrare la vittoria di Austerlitz. Ha terminato il suo mandato a Torino?
Non si trovò più in sintonia con gli indirizzi dei gesuiti dopo l’avvento al generalato di padre Roothaan? Fu coinvolto nelle vicende che videro naufragare il movimento delle Amicizie?
Deceduto Cesare d’Azeglio nel 1830, venne certamente a mancargli un valido sostegno ed una sicura protezione. Con Torino comunque mantenne sempre un rapporto privilegiato dal momento che lo ritroviamo qui a predicare la Quaresima nel 1838; ed ancora ospitò in casa sua un ex allievo piemontese nel 1849; mantenne stretti contatti col prof. Gioacchino De Agostini torinese, cui indirizzò le sue lettere missionarie dalla Corsica nel 1843.

Elena Pierotti

Bibligorafia e fonti
Candido Bona, Le “Amicizie”. Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Deputazione subalpina di Storia Patria, Torino 1962.
Francesco Traniello, Cattolicesimo conciliatorista, Marzorati editore, Milano 1970.
Guido Verucci, I cattolici e il liberalismo dalle “Amicizie Cristiane” al Modernismo, Liviana, Padova 1968.
Vincenzo Gioberti, Il Gesuita moderno, S. Bonamici, Losanna 1846.

Biblioteca di Stato di Lucca, Manoscritto 1368, Lettera di G. Prosperi a C. Lucchesini, 13 novembre 1823.
Biblioteca di Stato di Lucca, Manoscritto 1368, Lettera di G. Prosperi a C. Lucchesini, 4 settembre 1825.
Biblioteca di Stato di Lucca, Manoscritto 1372, lettera di G. Prosperi a C Lucchesini n. 67, 13 dicembre 1830.
Biblioteca di Stato di Lucca, Manoscritto 1368, lettera di G. Prosperi a C. Lucchesini, Novara, 14 settembre 1825.

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