II – Russia e Francia: eserciti e piani strategici

II – Russia e Francia: eserciti e piani strategici

Nel 1810, lo zar Alessandro aveva nominato al ministero della Guerra Mikhail Bogdanovič Barclay de Tolly, barone e ufficiale d’origine tedesca, il quale, nella sua carriera, si era battuto su più fronti, contro ottomani, svedesi e polacchi. Egli verrà ricordato dai posteri soprattutto come l’instancabile fautore della riorganizzazione e dell’ammodernamento delle forze armate russe.
Nel 1812 il paese disponeva di un esercito di circa 409 mila soldati regolari; nonostante la riforma modernizzatrice promossa da Barclay, vi erano ancora numerosi e notevoli punti deboli. Primo fra tutti lo Stato Maggiore, poco efficiente e male addestrato, così come gli ufficiali dei reggimenti.
Punti di forza erano, invece: 1) i cosacchi, la cui celebre cavalleria era abilissima nell’incalzare gli avversari con tattiche elusive e sfiancanti; 2) i generali comandanti di corpo o di formazioni superiori.
Barclay de Tolly, ministro della Guerra e comandante in capo della 1° Armata, del tutto privo di fiducia nei confronti di colleghi e subordinati, nonostante il grande merito di aver modernizzato l’esercito, si sarebbe rivelato incapace di organizzare manovre di grandi unità in campo aperto. Pertanto, nel 1812, gli subentrerà il generale Mikhail Illarionovič Goleniščev-Kutuzov; ma non per questo perse la fiducia del suo imperatore, che del resto, nel 1815, gli conferì nuovamente il più alto posto di comando.
Vi era poi il generale Pëtr Ivanovič Bagration, dotato di notevole esperienza e assai abile sul campo di battaglia, ma anche impulsivo e avventato, contrariamente a Barclay, che invece era riflessivo, e ponderava accuratamente ogni decisione. Non a caso, il generale e il barone si trovarono spesso in forte disaccordo.
Infine, citiamo Kutuzov, cui già abbiamo accennato: veterano di sessantasette anni, allievo del famoso feldmaresciallo Aleksandr’ Suvorov, era considerato il “grande vecchio” delle forze russe, e per questo era rispettato da tutti, nonostante la disfatta di Austerlitz.


Carica della cavalleria ccosacca, Russia - 1812Carica della cavalleria cosacca a Borodino, 7 settembre 1812


In Francia, l’operazione di Russia fu preparata assai scrupolosamente; al riguardo, vennero addirittura studiati, nel dettaglio, i resoconti della disfatta di Carlo XII di Svezia nel 1709.
Napoleone era consapevole che tutta una serie di fattori (l’estensione del territorio russo, l’arretratezza del suo sistema stradale, il clima tendente a grandi oscillazioni, dal freddo al caldo, e infine la vastità delle armate avversarie) concorrevano a rendere particolarmente rischiosa la futura campagna. Ciononostante, possiamo dire che egli, forse, non si rese pienamente conto dell’effettiva entità delle difficoltà cui sarebbe incorso.
Napoleone riteneva che avrebbe avuto bisogno di mezzo milione di uomini in prima linea e di una forza di riserva ancora superiore. Al tal scopo, nel 1811 furono sospesi i preparativi per un’invasione dell’Inghilterra e per una spedizione in Oriente, in modo tale da poter concentrare tutte le energie sull’impresa russa. All’inizio dell’anno seguente, il commissario generale Dominique Frédéric Dufour de Pradt completò le disposizioni amministrative a Varsavia, mentre un corpo di spedizione francese occupava la Pomerania svedese per poter proteggere, in futuro, il fianco sinistro della Grande Armée.
L’imperatore inventò un nuovo modello di organizzazione, il gruppo di armate, e suddivise l’esercito in tre gruppi: vi erano tre armate d’avanguardia, composte da 449 mila soldati. L’armata principale, posta sotto il suo stesso controllo, era costituita da circa 250 mila uomini, suddivisi in due corpi di cavalleria (comandati dal re di Napoli, Gioacchino Murat), nella guardia imperiale ed in tre corpi d’armata di forza diversa, comandati rispettivamente da Davout, Oudinot e Ney.
Quest’armata comprendeva la maggior parte dei soldati di nascita francese.
Vi erano poi due armate ausiliarie, composte prevalentemente da truppe alleate. La prima fu affidata al principe Eugenio di Beauharnais, ed era composta da 80 mila tra italiani e bavaresi; a capo della seconda, composta da circa 70 mila tra westfaliani, sassoni, assiani e polacchi, fu posto Gerolamo Bonaparte. Infine, in difesa dei fianchi dell’armata, vennero poste due formazioni semi-autonome, il X corpo d’armata (32.500 soldati) di MacDonald sulla sinistra, cioè nella zona del Baltico, e il corpo austriaco, al comando del principe Schwarzenberg (34 mila uomini), sulla destra. Le forze che componevano il secondo gruppo ammontavano a 165 mila soldati, che dovevano servire come riserva per le tre armate principali.
Nel terzo gruppo Napoleone organizzò infine un’ulteriore riserva di 66 mila uomini. Questi dati sono quelli riportati da David G. Chandler nel libro “Le campagne di Napoleone”; Georges Blond, autore della “Storia della Grande Armée”, sostiene invece che l’armata, nel 1812, fosse formata da oltre 670 mila uomini, ma che nella campagna di Russia ne vennero impiegati solamente 400 mila. Possiamo ipotizzare che, nella sua stima, lo storico marsigliese non tenga conto delle truppe ausiliarie e dei rinforzi, contrariamente a quanto fa Chandler.
Sebbene fosse organizzata meglio di qualsiasi altro esercito europeo, la Grande Armée presentava una nota negativa: vale a dire l’eccessiva eterogeneità. Era infatti composta da soldati di almeno dodici nazionalità differenti, molti dei quali erano stati costretti a prendere le armi, e perciò erano del tutto privi di entusiasmo. Basti pensare che dei 614 mila uomini di cui erano composte le prime due schiere, solamente 302 mila erano francesi. Tedeschi, austriaci, prussiani e svizzeri erano in tutto 190 mila, mentre polacchi e lituani erano 90 mila. Il resto era costituito da italiani, illirici, portoghesi e spagnoli (32 mila uomini in tutto).
Inoltre, c’è una considerazione da fare: Napoleone tendeva ad accentrare nelle proprie mani tutta l’autorità; ma è evidente che il controllo di un tale numero di uomini non era impresa facile.
Peraltro, al nuovo modello di formazione, sarebbe stata necessaria una catena di comando basata sulla flessibilità, cioè rigida nelle decisioni strategiche, ma duttile in quelle tattiche, tale da consentire ai singoli comandanti libertà di iniziativa e autonomia decisionale.
Per Napoleone, però, come afferma Chandler, «il concetto fondamentale della condotta della guerra era basato sulla personale supervisione di tutti gli elementi della sua armata. Era un compito già abbastanza difficile con forze di 200.000 uomini che manovravano negli spazi in proporzione assai ristretti dell’Italia, della Germania…; adesso di fronte alle vaste estensioni della Polonia e della Russia, con la necessità di manovrare più di mezzo milione di uomini, l’energia e la possibilità di comando di Napoleone dovevano dimostrarsi del tutto inadeguate».
In sintesi, si trattava di una massa di soldati e di un modello organizzativo cui non era stata data un’adeguata soluzione nella catena del comando, ancora imperniata sul controllo non solo strategico, ma anche tattico, dell’imperatore in persona. Il risultato fu che l’eccessiva mole di compiti, che si trovò a gestire, impedì a Napoleone di valutare accuratamente molti dettagli.
Per quanto concerne il sostentamento delle truppe e del bestiame, non ci si poteva affidare alle risorse del territorio; peraltro c’era concretamente il rischio che i russi potessero ricorrere al cosiddetto sistema della “terra bruciata”, e Napoleone valutava che in tale malaugurato caso le pianure deserte non avrebbero potuto mantenere che un quinto delle sue forze.
L’esercito, dunque, avrebbe dovuto essere giocoforza autosufficiente: citando Chandler, «bisognava provvedere al trasporto di enormi quantità di foraggio (per i cavalli e per le mandrie al seguito), di gallette di riso, di vegetali, di alcool». Vennero così creati ventisei battaglioni da trasporto, ciascuno con 252 carri trainati da quattro cavalli e della portata di una tonnellata e mezzo. La Grande Armata era seguita da circa 25 mila veicoli; a seguire, grandi mandrie da macellare (si pensò persino di sostituire ai cavalli da tiro i buoi, così che, esaurito il contenuto dei carri, i buoi si trasformassero da animali da traino in animali da macello).
Tuttavia, i provvedimenti per equipaggiare in modo adeguato l’esercito non erano stati estesi a tutti i settori, e comunque non erano sufficienti. Insomma: tutto apparentemente fu pensato nel piano napoleonico … ma tutto fu pensato in chiave ottimistica. Gli immensi spazi russi, dilatati dalle strade fangose e dal peso dei carri, avrebbero vanificato ogni calcolo; la velocità dei convogli e dei rifornimenti avrebbe ridotto la velocità dell’intero esercito, il loro ritardo avrebbe provocato enormi perdite di uomini e cavalli, appiedando letteralmente la cavalleria e impedendo di manovrare.
Ma questi sono aspetti che tratteremo in altra occasione. Riprendendo il filo del discorso, il teatro di guerra fu diviso in due fronti, quello settentrionale e quello meridionale, separati dalla zona delle paludi del Pripet. Come abbiamo detto, sia a nord sia a sud le strade erano disastrate, e ciò poneva un problema non indifferente alla Grande Armée, specialmente se si considerano tutti i convogli che seguivano l’esercito.
Le strade che permettevano di passare la frontiera erano tre: a Kovno, Grodno e Brest-Litovsk. Napoleone poteva quindi scegliere tra tre diverse direttrici per raggiungere Mosca. Scelse infine di superare il Niemen a Kovno, in modo da passare da Vilna, Vitebsk e Smolensk. A Vilna avrebbe potuto scegliere se puntare su Mosca o su Pietroburgo.
Alla fine di aprile, egli era venuto a conoscenza della situazione delle forze armate avversarie: sei corpi d’armata, oltre a tre di cavalleria, tra cui la 1° armata di Barclay de Tolly, erano disposti su un fronte di 400 chilometri, che andava dalla zona di Shavli, in Curlandia, a quella di Slonim, nella Lituania meridionale. Altri due corpi d’armata, appoggiati da un contingente di cavalleria, si stavano assembrando intorno a Lutsk. Come obiettivo immediato su cui concentrarsi, l’imperatore scelse l’armata di Barclay de Tolly, e ammassò le sue forze nei pressi di Kovno.
Il suo piano era quello di dividere in due l’armata dell’avversario e tagliare le comunicazioni del troncone maggiore con Pietroburgo. Napoleone sapeva che sarebbe stato necessario muoversi rapidamente per occupare Vilna prima che i russi potessero comprendere i suoi piani. Inoltre, confidava di poter riuscire a spingere le truppe nemiche nella zona a sud di Grodno, dove poi avrebbe potuto facilmente annientarle. Tuttavia, per ottenere un effetto sorpresa, finse un attacco diretto su Mosca.
L’imperatore dei francesi credeva di poter ottenere una completa vittoria in una ventina di giorni al massimo, convinto com’era che il conflitto si sarebbe risolto con una grande e decisiva battaglia. Si trattava di un’illusione dalle fondamenta apparentemente solide: quello francese era infatti un esercito invitto, reduce da vittorie clamorose, ottenute con una strategia bellica innovativa, tale da schiantare l’avversario. Le marce forzate, le formazioni d’armata in parallelo, lo studio del terreno, la rapida concentrazione della forza, l’utilizzo combinato di artiglieria, cavalleria e fanteria, erano i momenti di una strategia d’annientamento che, in un quindicennio, aveva sconvolto l’Europa sbaragliandone gli eserciti.
Eppure, Napoleone non si rendeva conto che in Russia i fattori di tempo e spazio avrebbe provocato conseguenze tali da condurre a una disastrosa disfatta la sua campagna.


L'attraversamento del Niemen in Russia 1812L’attraversamento del Niemen, 23 giugno 1812


Lo zar, sin dall’inizio, elaborò piani di difesa e non di offesa. Nei mesi di marzo e aprile aveva richiamato tutte le sue forze e aveva creato due armate, che aveva poi collocato nell’area delle frontiere occidentali. Inoltre, aveva deciso di creare una terza armata.
In giugno le tre armate erano ormai pronte alla guerra ed erano costituite da circa 218 mila uomini. La 1° armata occidentale, quella di Barclay de Tolly, era la più numerosa (127 mila soldati) e fu posta nell’area tra le coste del Baltico e le rive dell’alto Niemen. Quest’armata comprendeva anche i cosacchi di Platov. La seconda armata occidentale era composta da due corpi d’armata e uno di cavalleria, appoggiati da altri cosacchi e dagli armati della cavalleria regolare guidati da Bagration (circa un totale di  48 mila uomini, anche se alcuni studiosi riportano cifre superiori, tra i 65 e gli 80 mila). Infine, il generale Tormasov stava costituendo la terza armata.
Il principio fondamentale su cui si basarono i piani di Alessandro fu quello di cedere spazio per guadagnare tempo, ma è anche probabile che questa linea sia stata un’esigenza dovuta alle circostanze, e dunque non prestabilita. In ogni caso, lo zar avrebbe sfruttato appieno la vastità del paese per sconfiggere l’avversario.
Il 15 maggio l’Imperatore dei francesi aveva concentrato quasi tutto il suo esercito nella zona da Danzica a Varsavia, sino agli argini della Vistola, e il 26 venne dato ordine di avanzare verso il Niemen. Il 30 di maggio l’armata era pronta a invadere la Russia.
Nel frattempo, Napoleone si stava anche occupando delle conclusive azioni diplomatiche: il 9 maggio, a Dresda, si riunì la “comitiva dei re” per accoglierlo; ma in realtà il cancelliere austriaco Metternich e il re di Prussia avevano già scritto allo zar per rassicurarlo, promettendogli che avrebbero cercato di fargli la guerra il meno possibile.
Napoleone si accingeva a sferrare l’attacco, ma molti dei suoi alleati erano già pronti a voltargli le spalle.

L. Sansone

 

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