Venezia 1800. L’elezione di papa Pio VII

Venezia 1800. L’elezione di papa Pio VII

Il 30 novembre 1799, a tre mesi dalla morte di papa Pio VI, si apriva a Venezia il Conclave per l’elezione del nuovo pontefice.
Roma, in quel momento, era occupata dai soldati napoletani, e si trovava pertanto in un profondo stato d’allerta; ma più che questa circostanza, a motivare la scelta di convocare l’assise nella città di San Marco era stato il fatto che la maggior parte dei cardinali, dopo l’occupazione francese dei territori pontifici (1796), avevano trovato riparo proprio nel Veneto imperiale. Il Sacro Collegio si riunì dunque sotto l’egida della Casa d’Asburgo, presso un monastero benedettino sull’isola lagunare di San Giorgio, di fronte alla città.


Basilica di San Giorgio Maggiore (Venezia), 1760 ca.Basilica di San Giorgio Maggiore (Venezia), 1760 ca.


Il Conclave si sarebbe protratto in un clima di incertezza per i successivi tre mesi e mezzo, in parte perché i tragici eventi degli ultimi tempi richiedevano una scelta ponderata, ma soprattutto per le pesanti ingerenze dell’Imperatore Francesco, ben intenzionato a far valere i propri interessi.
Le preferenze rimasero quindi a lungo oscillanti, divise tra il nome del cardinale romano Alessandro Mattei (1744-1820), gradito all’Austria, e quello del pavese Carlo Bellisomi (1736-1808), che veniva invece osteggiato, così come lo ero il savoiardo Giacinto Sigismondo Gerdil (1718-1802).

Tra i partecipanti al Conclave annoveriamo anche un ligure: si tratta di Agostino Rivarola (1758-1842), che era stato governatore pontificio di San Severino, nella Marca maceratese, dal 1793 al 1797, anno in cui venne espulso dai territori per volontà dei francesi.
Egli prese parte al Conclave in qualità di notaio apostolico, assistendo all’organizzazione delle votazioni. Nelle lettere che indirizzò al fratello, il marchese Stefano Rivarola (oggi conservate presso l’archivio della Società Economica di Chiavari), egli si lasciò andare ad alcune vivaci (e talvolta irriverenti) considerazioni.
A pochi giorni dal suo arrivo a Venezia descrive in questi termini il suo arrivo, l’atmosfera che trova in città e la propria condizione:

«Sono giunto (…) il dì 2 Ottobre, il dì 15 sono entrato nell’apartamento che teneva il Card. Vincenti, dove vi sarebbe un bel luogo per voi, ho fatte tutte le visite, ho trovati i Doria più umani, mi do d’intorno, mi servo oribilmente, sono senza denari, e aspetto oninamente che mi faciate acreditare indeterminatamente per ciò che avrò di bisogno poiché all’ordinaria spesa si agiungono le straordinarie dell’abbiti prelatizj funerei della Cappa con Armellino come Protonotario, e di un bel feraiolo di cui ho bisogno per il freddo e per la convenienza andandosi qui da tutti col feraiolo in conversazione compresi i Card. Prelati ed ogni altro. Oltre a ciò non è impossibile che debba presto viaggiare. Finalmente vi dirò che sto benissimo di salute e questo è il massimo dei beni».

Passa poi a descrivere le esequie di Pio VI, morto prigioniero il 29 agosto 1799 in Francia, a Valence-sur-Rhône, il cui corpo era stato sottoposto all’oltraggio di una sepoltura tardiva.

«La decenza e non il lusso hanno presieduto alla sacra funerea cerimonia. L’orazione funebre fatta da Monsignor Brancadoro è riuscita molto ma molto al di sotto del sublime argumento, tanto che una lingua piegata ai sali di Pasquino a detto che il povero Pio VI era destinato ad essere martiriato in fatti ed in parole. Il Conclave sarà assai se si chiuderà per i primi di Dicembre, Segretario è Consalvi, l’orazione De Eligendo Pontifice la farà il vescovo di Crema».

Descrive, infine, la trepidazione che accompagnò il Conclave e le voci incontrollate che circolavano sul futuro pontefice.

«È difficile il pronosticare sulla futura elezione. Fra i più vecchj, fra i più dotti pare che non uscirà poiché i primi sono tenuti per morti e i secondi per troppo vivi, all’aurea mediocrità di robustezza come d’ingegno pare riservato il papato. Molta prelatura è quì tra i quali sono i più oservabili Morozzo e il Magiordomo, molt’altre se ne aspetta».

Così scrive in una lettera datata 6 ottobre 1799. Il 5 novembre aggiunge che «i più nominati» al soglio di Pietro «sono giovani come è il buon Pignatelli che lo è nominato quasi sopra tutti, e poi Archetti e poi Bellisomi, e poi Chiaramonti». Ma appena undici giorni dopo si corregge e scrive che «del papa risorge la voce che sarà vecchio come io opinavo prima».

Infine, il 14 marzo 1800, tutti i voti confluirono sulla figura del benedettino Barnaba Chiaramonti, vescovo di Imola, che in onore del predecessore assunse il nome di Pio VII. Si trattava di una nomina assai inaspettata, ed anche un poco indigesta all’Imperatore d’Austria, dato che il nuovo papa non passava certo per essere, tra tutti i cardinali, il più intransigente nemico della rivoluzione. Nel 1797, addirittura, egli aveva pronunciato un’omelia sui rapporti tra democrazia e religione, sostenendo che «la forma democratica non ripugna al Vangelo, e la Repubblica esige virtù che possono apprendere soltanto alla scuola di Gesù Cristo» (cit. in J. Godechot, Chi è Napoleone? Vita ed epilogo del genio militare, Res Gestae, 2015).
Agostino Rivarola, invece, ci appare sinceramente compiaciuto di questa sorprendente elezione, commentandola in questa maniera:

«Finalmente abbiamo la consolazione di avere il Capo visibile della Chiesa in un sogetto della più grande espettazione quale è il Sig. Card. Chiaramonti, e posiamo riconoscerla come una vera ispirazione dello Spirito Santo che è sempre al di sopra  di ogni umano divisamento poiché la patria Cesena, l’ettà di 54, l’affinità col defunto, tutto insomma ciò che sentiva l’umana passione e riguardo era tutto in prevenzione contro di lui epure lui è Papa, e dal Monistero dei Benedettini di San Giorgio esce Papa il solo benedetino che era nel Sacro Collegio. Sia ringraziata la providenza».

R. M.

Nota della redazione:
Le lettere in questione sono conservate presso l’archivio Rivarola della Società Economica di Chiavari, plico n. 210, “Lettere di Mons. Agostino Rivarola al fratello Stefano e alla cognata Anna Ceccopieri, 1799-1803”; adesso si possono leggere anche in L. Sansone (a cura di), Lettere e carte politiche di monsignor Rivarola governatore di San Severino e Macerata, Chiavari, Edizioni Internòs, 2016.

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