VI – L’inizio della fine

VI – L’inizio della fine

La massa che si dirigeva per Kaluga si estendeva per 20 chilometri, e procedeva molto lentamente, anche a causa della pioggia.
Vi furono, inizialmente, pochi segni di attività russa. Il 24 ottobre iniziò un combattimento di discrete dimensioni a nord di Malojaroslavets per il controllo del ponte sul fiume Luša. La città cambiò mano diverse volte, nell’arco della sola mattinata. Poco dopo mezzogiorno, però, i russi decisero di ritirarsi, e occuparono le alture circostanti. All’una arrivò Napoleone, il quale aveva fatto schierare quasi tutta l’armata lungo la riva settentrionale del fiume. Giudicò tuttavia ancora troppo rischioso oltrepassarlo; si ebbe solo qualche combattimento di dimensioni molto ridotte, ma alla fine della giornata, tra feriti e morti, c’erano circa 4 mila italiani fuori combattimento.


Napoleone si ritira da mosca, L' inizio della fineNapoleone si ritira da Mosca


Il giorno seguente Napoleone rischiò di essere preso prigioniero dai russi. Mentre avanzava, con una piccola scorta, per controllare se effettivamente i nemici si fossero ritirati, venne attaccato dai cosacchi; fu fortunosamente salvato dall’intervento provvidenziale delle truppe del principe Eugenio.
Il mattino del 26 ottobre, Napoleone, seguendo il consiglio della maggioranza dei suoi marescialli, che volevano ritirarsi per la strada più breve, ordinò a tutti i corpi di riprendere il cammino verso nord, per raggiungere Možajsk, la grande strada che da Mosca porta a Smolensk. Venne anche diffuso l’ordine di bruciare tutto, così come avevano fatto gli avversari. Fra Malojaroslavets e Možajsk vennero incendiati tutti i villaggi; parte dei prigionieri venne uccisa.
Možajsk venne raggiunta il 28 ottobre, in piena tempesta di neve, con una temperatura di quattro gradi sotto lo zero. Qui c’erano moltissimi cadaveri in decomposizione; erano i feriti della Moscova che, abbandonati dopo la battaglia, erano morti. C’erano ancora circa 2 mila superstiti, e l’imperatore ordinò che ogni vettura ne caricasse almeno un paio. Ma da qui in poi, abbandonare i feriti lungo la strada divenne pressoché un’abitudine; spesso venivano gettati giù dalle vetture ancora coscienti.
Fra Možajsk e Vjaz’ma molti soldati iniziarono ad abbandonare le armi e tutto ciò che non fosse provviste, al punto che la strada era cosparsa di oggetti preziosi, candelabri e molti libri.
I cosacchi avevano cominciato ad attaccare prima che l’armata raggiungesse Vjaz’ma; Kutuzov seguiva la strada meridionale, che Napoleone avrebbe preso se non avesse deciso di cambiare itinerario dopo la battaglia di Malojaroslavets.
Il 29 ottobre l’armata passò per Borodino e il 31 l’avanguardia raggiunse Vjaz’ma, a poco più di 200 chilometri da Mosca. Napoleone decise di continuare a marciare su Smolensk, dove si sarebbe potuto trovare rifugio nei sobborghi o nelle città vicine, come Vitebsk e Orša.
Il 2 novembre, mentre Napoleone si trovava già a Slavkovo, il resto dell’armata avanzava ancora verso Vjaz’ma. I russi attaccarono la retroguardia con l’intento di dividere l’esercito francese in tre parti. Il giorno seguente la retroguardia fu nuovamente attaccata, ma grazie all’intervento prima delle truppe di Eugenio e poi di quelle di Ney si evitò il disastro, anche se si ebbero ancora delle perdite pesantissime.


Il maresciallo Ney guida la retroguardia nella ritirata da Mosca, l' inizio della fineIl maresciallo Ney guida la retroguardia


Kutuzov, seguendo sempre la via parallela, tormentava l’armata con i cosacchi, ma senza cercare realmente lo scontro, consapevole che sarebbe stato il clima implacabile a stroncare gli uomini della Grande Armée.
Il 3 novembre iniziò a nevicare, e nell’arco di una settimana il gelo divenne insopportabile. Il 5 novembre i francesi lasciarono Vjaz’ma, accelerando la ritirata nella speranza di poter trovare ristoro a Smolensk. Nella notte tra il 5 e il 6 novembre la temperatura scese a 20 gradi sotto lo zero, e la neve continuava a cadere. La neve, poi, diventò ghiaccio, e i cavalli si abbattevano al suolo a centinaia; appena cadevano a terra, venivano tagliati, ancora vivi, e mangiati.
Prima ancora che Smolensk fosse raggiunta, quotidianamente morivano, nella marcia, a causa del freddo, circa mille uomini. Molti morivano nel sonno, trasformati in statue, tutti bianchi e rigidi; altri, ormai stremati, si gettavano volontariamente tra la neve.
Ma un altro fatto subentrava a turbare l’imperatore: a Parigi c’era stato il tentativo del generale Claude François de Malet di prendere il potere. Egli, fuggito da un ospedale psichiatrico, e intenzionato a restaurare un governo repubblicano, aveva annunciato che l’imperatore era morto in Russia, ed era quasi riuscito nel suo intento. Alla fine l’ordine venne ristabilito; pertanto la congiura organizzata da Malet non fu particolarmente grave, purtuttavia fu pericolosa nella misura in cui dimostrò che l’autorità di Napoleone si stava notevolmente indebolendo.
Quando la Grande Armée arrivò a Smolensk, il 9 novembre, aveva già perso circa 30 mila uomini da quando era partita da Mosca (secondo quanto asserito da Blond, ma Chandler riporta, anche in questo caso, dati differenti; secondo lui l’armata era ormai composta solo più da 41.500 effettivi).
A Smolensk, contrariamente a quanto si ci aspettava, c’erano pochi viveri perché parte delle provviste era stata venduta a trafficanti locali, che a loro volta l’avevano venduta all’armata russa. Solo la Guardia riuscì a ricevere ciò che le occorreva; tutti gli altri soldati, inevitabilmente, si diedero al saccheggio. Ma non tutta l’armata era entrata in città: intorno alle mura, sulla neve, c’erano migliaia di bivacchi; questi vennero attaccati dai cosacchi, che però la Guardia riuscì a respingere. Tra il 13 e il 15 novembre l’armata lasciò a scaglioni Smolensk per raggiungere Krasnoe (Chandler afferma che l’armata iniziò a lasciare Smolensk il 12, ma che la retroguardia di Ney abbandonò la città solo il 17) .
Una massa di russi, però, le sbarrava la strada lungo il percorso. Erano appostati ai lati del sentiero; ma davanti alla Guardia si ritirarono, prendendo posizione sulle alture. Napoleone venne a sapere che i russi circondavano Krasnoe con forze consistenti, e convinto che anch’essi si fossero indeboliti ordinò alla Guardia di attaccarli. La battaglia iniziò nella notte tra il 15 e il 16 e proseguì non solo il giorno seguente, ma anche quello dopo, estendendosi ai dintorni di Krasnoe.
La Guardia, sotto la guida dell’imperatore, impedì al nemico di accerchiare l’armata, che lasciò Krasnoe il 19; i russi non la inseguirono, ma presero posizione per bloccare la retroguardia di Ney. La battaglia di Krasnoe, in cui Kutuzov ebbe chiaramente la peggio, fu assai rilevante, in quanto la scelta di Napoleone di non utilizzare la Guardia a Borodino veniva, alfine, premiata. Inoltre, la vittoria sotto la guida diretta di Napoleone faceva capire che egli avesse ancora un ascendente morale, molto forte, sui suoi soldati.

L. Sansone

 

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