Le tappe di Napoleone a Torino

Pubblichiamo il commento del professor Francesco Bonifacio-Gianzana, direttore dell’Archivio storico di Cherasco, al volume di Alessandro Puato su Napoleone a Torino, opera frutto di quindici anni di studi e ricerche, di cui abbiamo già pubblicato alcuni estratti.
Nella sua recensione, Bonifacio-Gianzana, oltre a sottolineare gli aspetti di maggiore originalità del libro, mostra come la narrazione di Puato sia in grado di coniugare, in maniera sapiente, una rigorosa ricostruzione storica con le testimonianze vivaci dei contemporanei, dando direttamente la parola a marchesi, nobildonne e ufficiali.

Le tappe di Napoleone a Torino

Generale Napoleone Pare che i libri editi su Napoleone I abbiano raggiunto la bella cifra di 170.000: qualsiasi studioso o anche solo appassionato del personaggio ne possiede svariati nella propria biblioteca, eppure – chapeau, caro Puato – personalmente sentivo la mancanza di un volume come questo. Finalmente, un po’ dappertutto, si comincia a sentire l’esigenza di parlar di Napoleone con meno enfasi guerriera e maggior oculatezza verso l’uomo e lo statista. E Puato – a mio vedere – incardina proprio in tale prospettiva il suo lavoro, servendosi di un escamotage molto ben trovato per presentare – nelle sue visite a Torino –  prima un Bonaparte e poi un Napoleone, estremamente a suo agio non più solo sulla groppa del suo cavallo, ma comodamente seduto su «uno splendido trono foderato di velluto color porpora e arricchito di brillanti» in un palco del Teatro Imperiale di Torino o meno comodamente assiso ad un tavolo di lavoro.
In realtà, ciò che avrebbe potuto essere un resoconto quasi giornalistico, frettoloso e, perché no, scioccamente piccante, nelle pagine di questo volume si dipana come l’estrinsecarsi di una vita vissuta alla grande da grande quale egli fu … «mais ces avocats de Paris qu’on a mis au Directoire n’entendent rien au gouvernement. Ce sont des petits esprits. … Quant à moi, mon cher Miot, je vous le déclare, je ne puis plus obéir; j’ai goûté du commandement et je ne saurais y renoncer».
Siamo appena a pagina 12 del testo di Puato, ma già si comprende lo spirito dell’Autore nel far tratteggiare dall’ambasciatore Miot questo giovane generale non ancora trentenne e neppure forse ancora così convinto della sua grandezza ma, sicuramente certo della piccolezza altrui: «ce sont des petits esprits». Ma quanti biografi hanno saputo o voluto sottolineare come questo «grand esprit» avesse nel suo animo persino lo spazio per poter affermare: «J’ai fait tout ce qui était en mon pouvoir, pour assurer la tranquillité du roi», di quel povero monarca piemontese, che, invece, si sarebbe consegnato all’infida e opportunista corte di Vienna, mentre il Direttorio si apprestava a distruggerlo? Oppure, quanti biografi hanno avuto la sincerità di cogliere la sua profonda simpatia e dedizione per tutti i veri operatori di cristiana carità – S.S. Pio VII compreso – cercando, di evitar loro l’assurdo tritacarne rivoluzionario?
È così che l’Autore si affida alla memoria del simpatico Constant, primo cameriere dell’imperatore, per confermarci quanto prima sottolineato, all’occasione del passaggio del Moncenisio nel 1805 da parte di Napoleone e Joséphine: «Arrivées au couvent, [Leurs Majestés] furent reçues avec beaucoup d’empressement par les bons religieux. L’empereur, qui les affectionnait singulièrement, s’entretint avec eux, et ne partit point sans leur laisser de nombreuses et riches marques de sa munificence. […] A peine arrivé à Turin, il redit un décret relatif à l’amélioration de leur hospice, et il a continué de le soutenir jusqu’à sa déchéance».
Tuttavia se pur c’è, come c’è, un limite all’ingenuità, Puato non manca di ricordarci, subito dopo, che «l’Imperatore non ignorava quale fosse lo spirito pubblico a suo riguardo, come non ignorava che nelle Chiese il popolo non volesse rispondere alle preghiere che si facevano per lui».
E non diversamente, quel generale «magro, malaticcio, austero nel portamento» che avevano conosciuto i torinesi, ora, «divenuto fiorente di salute, paffuto; nei ricevimenti si atteggiava come gli tornava più acconcio. […] In lui tutto era divenuto calcolo: recitava stupendamente, per quanto difficile e incommensurabile, la commedia della sua vita meravigliosa».
Gli era ormai entrato nel sangue e fattosi natura quel suo atteggiamento inimitabile per cui alle cinque del mattino di venerdì 19 aprile 1805 «fece radunare la truppa stazionata a Stupinigi e le fece fare varie evoluzioni mentre pioveva. Alle sette fece avvisare sei guardie d’onore a cavallo e un ufficiale di tenersi pronti, e dopo pochi minuti montò in vettura e si recò a Moncalieri»; e qui giunto, ammirò velocemente le ville di piacere per salire su «un poggio elevato, la Torre Bert, donde, grazie alla vista panoramica completa della città e dei suoi dintorni, si rese conto della posizione strategica del sito e dell’urgenza di costruire strade e ponti per abbreviare e facilitare il transito da e per la Francia».
Questo è il Napoleone di Puato, è anche quello che – come farà a Sant’Elena – s’intrattiene ora con un contadino per informarsi sul prezzo del pane e riflettere insieme sul fatto che a Torino città costasse il doppio! E un attimo dopo rivolgersi al generale Chasieloup per parlar di fucili da inviare alla cittadella di Alessandria, senza dimenticare di «far fare sul posto le rastrelliere necessarie e di destinarvi una guardia».
È sempre lui che il lunedì mattina successivo detta una lettera al ministro delle finanze ricordandogli che i colleghi di due dicasteri non hanno saldato il conto della polvere da sparo, mentre, tramite il segretario del tavolo accanto, inviava una missiva a Fouché ordinandogli di controllare meglio i giornalisti a proposito di quanto dicono sul lusso e le spese della corte; ed è sempre lui che, rivolgendosi ad altro scrivano, ordinava al ministro della guerra di spostare il deposito del 109° reggimento di Brest e di riorganizzare la compagnia franca dell’isola di Capraia e, nel contempo, richiedere notizie circa la richiesta d’avanzamento di un maresciallo d’alloggio del 28° dragoni. E come può dimenticare – pieno di rabbia – di far annullare da Cambacérès il matrimonio di quello stordito di fratello, Gerolamo, che due anni prima aveva scandalosamente mischiato un sangue ormai imperiale con quello di una borghese americana!
Ma bisognava far presto, perché già attendevano in anticamera le rappresentanze civili, militari, religiose, giudiziarie e culturali della città di Torino: attenderanno due ore … ma è gente abituata.
«L’imperatore stava in piedi in mezzo alla camera, vestito con un semplice abito da colonnello della sua guardia, senza galloni e senza ricami, con piccola spada al fianco ed un cattivo cappello sotto il braccio»: era così che sapeva mettere a disagio quei tanti ridicoli piumaggi, buoni solo a nascondere il niente.
«Signori parroci – quando toccò il loro turno – voi avete il cuore del popolo nelle vostre mani, dipende da voi farmi amare, giacché la mia spada è sufficiente per farmi temere»: quanti don Abbondio si saranno dati di gomito, ma ce n’era anche per l’arcivescovo e i suoi canonici e i vescovi piemontesi, costretti a salire e scendere sui diversi carri dei vincitori che si erano alternati in quegli anni, anche se per prendere quello giusto dovranno attendere ancora dieci anni.
Fra inchini, piroette e sbatter di tacchi non sarebbe facile a nessuno districarsi agevolmente, ma Napoleone riesce a trovare anche il tempo per ammirare palazzo Madama e, chiamando a sé il solerte Menou, – e qui Puato forse avrebbe potuto aggiungere quella tiratina d’orecchio che tanto piaceva all’Imperatore – dirgli: «Est-ce donc ceci la vieille baraque de laquelle vous m’écriviez, et que vous vouliez faire démolir? … C’est toi, mon bon Menou, qui es une vieille baraque!»
A proposito di «vieilles baraques», anche la vecchia marchesa de Sales, settantacinquenne, presentò personalmente all’Imperatore – ma con la benedizione del santo zio – una supplica relativa ai beni perduti in Savoia: «L’Empereur – chiosa la figlia Filippina – lui a dit qu’il fera ce qu’il pourra, mais on ne s’occuperà de pétitions de ce pays qu’à Milan car il y en a 4 mille».
E via discorrendo! Il libro è una miniera di intelligenti e documentate citazioni: non si finirebbe di elencarne, come quella riferita al moderatore della Chiesa Valdese Jean Rodolphe Peyran o a quanto accadde lunedì 8 luglio, quando la già citata Filippina di Cavour in una lettera al marchese Giuseppe Filippo scriveva: «Ce matin à 3 heures il a fait manœuvrer les troupes et est parti à 5 heures, ainsi que l’Impératrice» … era stato raggiunto – come aggiunge Puato – dalla notizia che si stavano formando tre eserciti coalizzati pronti a mettersi in marcia! L’attendeva la più fulgida battaglia della terza coalizione, Austerlitz.

Francesco BONIFACIO-GIANZANA
Direttore dell’Archivio storico della Città di Cherasco

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