I «Commissarj Francesi» a Roma

Ordine pubblico e lotta al malcostume nello Stato Pontificio. Editti e notificazioni.
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I «Commissarj Francesi» a Roma

Le tensioni tra la Francia rivoluzionaria e la Santa Sede datavano dai tempi della Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), e da quel momento i rapporti tra Parigi e Roma andarono deteriorandosi assai rapidamente. Ciò anche a causa di un episodio: l’assassinio, nella sede pontificia, di Ugo de Basseville, avvenuta il 13 gennaio 1793. Nella morte del diplomatico francese, la Convenzione vide, forse pretestuosamente, un’azione meditata dalla stessa Santa Sede, pertanto da quella vicenda derivò un ulteriore inasprimento nelle relazioni.
A distanza di pochi anni da quell’omicidio, il contrasto giungeva all’apice: infatti, dopo aver battuto gli austro-piemontesi in Lombardia, l’esercito francese volgeva le baionette contro i territori papalini. Il 12 giugno 1796 una divisione, capitanata dal generale Pierre Augerau, travalicava la Lombardia e invadeva la Legazione di Romagna. L’avanzata dell’invasore fu rapida e travolgente, e ad essa cedettero presto le città di Bologna, Ferrara, Ravenna, Loreto, Ancona, cosicché il papa dovette prendere atto della forza di un avversario soverchiante, con cui bisognava giocoforza scendere a compromessi.
Il 23 giugno veniva sottoscritto, a Bologna, un armistizio nient’affatto vantaggioso per la Santa Sede, costretta a versare 21 milioni di scudi, a cedere buona parte dei propri territori e, infine, a consegnare all’invasore anche molte opere d’arte. Si disponeva, inoltre, l’invio di Commissari francesi a Roma, affinché definissero le condizioni per un accordo duraturo.


Entrée_de_l’Armée_française_à_Rome I «Commissarj Francesi» a Roma omteL’Armata d’Italia entra a Roma, 11 febbraio 1798


In data 13 luglio 1796, in prospettiva dell’arrivo dei Commissarj, veniva emesso dalla Santa Sede un Editto specifico. A firmarlo era il Cardinale Francesco Saverio de Zelada (1717-1801), Segretario di Stato di papa Pio VI, nonché Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari.
Da questo Editto emerge chiaramente l’intenzione di tutelare il Papato sconfitto da ulteriori fardelli; a tal scopo, ci si prefiggeva di garantire l’incolumità degli inviati francesi, approntando le misure necessarie.
Nell’Editto si rendeva noto al popolo romano che «in seguito dell’accordo concluso coll’Armata Francese, mediante il quale si è allontanato il pericolo dell’ostile invasione», s’intendevano intavolare trattative per stabilire «una solida, e permanente pace fralle due Nazioni». Motivo per cui «debbano … portarsi in Roma alcuni Commissarj Francesi per trattare, e conferire di varj emergenti, e dell’adempimento di diversi Articoli, e condizioni relative all’accordo medesimo, che debbono facilitare la strada all’effettiva conclusione della pace».
Al riguardo, in nome della «nostra S. Religione», s’invocavano «il sagro dritto dell’ospitalità: l’inviolabile gius delle Genti: la fede pubblica derivante dalla Sovrana annuenza: l’importanza di una formale convenzione fra due Potenze» per «conservare il buon ordine, la tranquillità, e la pace commune». Questi precetti «esiggono indispensabilmente, che tali Commissarj Francesi vengano da tutti rispettati, ed urbanamente trattati».


Pio VI. I «Commissarj Francesi» a RomaPio VI


Si legge: «Il S. PADRE è nella ferma fiducia, che questo amato suo Popolo ben conosca la forza di simil’ dovere, e nel tempo stesso convinto, che qualunque sia l’oggetto della venuta degli enunciati Commissarj … deve ciascuno ciecamente uniformarvisi, e non può esser’ che utile al pubblico bene, come utile sarà sempre in realtà la perdita, ed il danno di una parte, che serve a tener lontana la rovina, e la distruzzione del tutto».
Ciononostante, occorreva adoperarsi per «prevenire l’impeto di qualche inconsiderato» così come «le velenose insidie di qualche reprobo, che sotto il manto di zelo non lascerà forse d’ispirare sentimenti d’animosità, e di malcontento verso detti Commissarj».
Pertanto si faceva a tutti noto, tramite l’Editto, che «li suddetti Commissarj debbano essere  RIGUARDATI, E TRATTATI COLLA DOVUTA CONVENIENZA, ED URBANITÀ come Persone di rappresentanza publica … ed appartenenti ad una Nazione, con cui si è stipolato un accordo, e và a stabilirsi una pace reciproca». Perciò «chiunque di qualsivoglia età, grado, sesso, e condizione … ardirà in QUALUNQUE TEMPO di fare la menoma ingiuria, o il più lieve insulto o colle parole, o co’ fatti, o per scritto, ovvero usarà qualsivoglia atto anche leggierissimo di dileggio VERSO  LE PERSONE DEI SUDDETTI COMMISSARJ, ED ALTRI INDIVIDUI, E NAZIONALI FRANCESI, O LORO FAMIGLIARI, E DIPENDENTI, o arrecarà alli medesimi alcun’ danno nella roba, sarà considerato, e giudicato COME NEMICO DELLA PATRIA, E DELLO STATO, REO DI RIBELLIONE».
Per costoro veniva prevista la condanna «ALLA PENA DELL’ULTIMO SUPPLIZIO, DELLA CONFISCA DEI BENI, E DELLA PERPETUA INFAMIA», e al riguardo venivano date specifiche disposizioni a «tutti li Tribunali Ordinarj di quest’alma Città ad invigilare colla maggiore accuratezza», provvedendo «contro li Trasgressori … con tutta prontezza, … senza che possa suffragare ad alcuno la scusa ed il pretesto d’irritamento, o di provocazione».
Analoghe pene erano poi previste nei confronti di «chiunque prestasse consiglio, ajuto, o favore a simili Delinquenti, o in altra qualunque maniera se ne rendesse complice, o partecipe, ovvero sì in publico, che in privato tenesse discorsi, che potessero essere d’istigazione, di accaloramento, e d’incentivo alla trasgressione di questa legge». Pertanto chiunque «avrà notizia di qualunque de’ Trasgressori suddetti, sarà tenuto a rivelarlo ad alcuno degli enunciati Tribunali Ordinarj sotto pena della Galera per dieci anni da incorrersi irremissibilmente in caso che mancasse a questa denunzia». Per «il Denunziante», al quale si garantiva la segretezza dell’identità, era previsto «UN PREMIO DI SCUDI CINQUECENTO da pagarglisi co’ denari della Reverenda Camera Apostolica».
Per chiunque trasgredisse le direttive, era invece prospettata la «esecuzione delle pene imposte col massimo rigore, e senza speranza né di grazia, né di diminuzione alcuna delle medesime».
Insomma, il “fantasma” di Ugo di Basseville s’aggirava ancora per le stanze vaticane, turbando gli animi e, forse, anche il sonno al Santo Padre.

L. S.

 

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