Sotto le armi per la Cisalpina (1796-1798)

Carlo Zucchi collegamentoSotto le armi per la Cisalpina (1796-1798)

Correndo l’anno 1796, tutto erasi politicamente mutato nel mio paese natale. In luogo del consueto ozio spensierato scontravasi dappertutto una febbrile operosità, alimentata da una democrazia, che schiudeva un’arena a tutte le capacità. Le subitanee vittorie di Buonaparte, figlio della rivoluzione, uscito dal popolo, quotidianamente fecondavano nelle giovanili menti sconfinati desiderj di gloria. I soldati francesi, prodi, vivaci, gentili, che con tanto brio narravano le romanzesche vicenda della guerra, facevano battere i cuori più ardimentosi d’insolito ardore guerresco. Io non fui degli ultimi a dare addio alle scuole per andare in cerca della fortuna e della gloria sui campi di battaglia.
Nominato sotto-tenente in un battaglione di volontarj reggiani al 1° dicembre 1796, non tardai a partire per la guerra. La prima volta che sostenni il fuoco del nemico fu alla battaglia di Faenza, nella quale i soldati del papa fecero assai cattiva prova. Molto meglio sostennero i nostri assalti, circa un mese appresso, gl’insorti della Marca di Macerata. Ma anch’essi dovettero cedere sotto la ferrea mano del Generale Rusca, il quale, inesorabilmente percotendo, giunse a spegnere la rivoluzione nel suo nascere. Divenuto osservatore attento di tutto ciò che si riferiva al servizio militare, io non avevo tardato ad accorgermi dei vantaggi grandissimi, che seco apportava la severità nella disciplina e la pronta ed energica operosità in faccia al pericolo. Fin d’allora rimasi pertanto ben fermo nel proposito di essere con me stesso e cogli altri rigorosissimo in siffatta parte del servizio militare. Giunto il luglio del 1797, ebbi il grado di tenente nella terza legione cisalpina. Non molto appresso veleggiammo per Corfù, dove ci aspettavano le maggiori privazioni. Mentre il soldato francese si trovava ben nutrito e ben alloggiato, i poveri legionari italiani si videro in balia delle maggiori sofferenze; non pagati, pessimamente nutriti, costretti a dormire sul nudo tavolaccio, avevano a sostenere quotidianamente un servizio assai faticoso. Sopraggiunge il tifo ad aggravare maggiormente la nostra condizione. Finalmente al principio dell’aprile del 1798 la terza legione Cisalpina venne imbarcata per Ancona. A bordo trovammo cattivo biscotto, pessima carne salata; il mare non tardò a farsi tempestoso, onde alla vista della terraferma a tutti ci parve di rinascere. Ma gli Anconetani non si mostrarono verso di noi troppo graziosi. La paura che fossimo apportatori del tifo consigliò di sequestrarci nel Lazzaretto. Là per entro con poca paglia per dormire, con un pezzo di pane e di lardo alla giornata per nutrirsi, i nostri poveri soldati non tardarono a prendere l’aspetto di spettri. La morte veniva ogni giorno a visitarli. Quando giunse l’istante di poterli cavar fuori da quel casamento, bisognò bagnarli nudi nel mare e liberarli dalle immondizie di che erano coperti. Passammo di guarnigione a Pesaro, poi a Bologna, dove il mio battaglione venne incorporato in una divisione italiana, che si stava formando sotto il comando del generale Lahoz. Al terminare del 1797 tutta la divisione si riunì in Ferrara, dove soldati e uffiziali trovarono eccellente istruzione militare e s’abituarono a sopportare il freddo per le lunghe e quotidiane manovre fatte senza il riparo del cappotto in giornate ghiacciate e piovose. Vero è che da non pochi si brontolava, ma sommessamente, perché a tutti era manifesta la severità del bravo generale Lahoz.


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Al sopraggiungere della primavera del 1798 venne decretato un nuovo organamento per le truppe italiane. Delle loro otto legioni si formarono quattro reggimenti di linea di tre battaglioni cadauno, I cacciatori costituirono un reggimento di fanteria leggiera. Io, che da due anni era incaricato dell’uffizio di Ajutante Maggiore, ottenni definitivamente questo grado. Era appena terminata la nostra nuova organizzazione, che fummo mandati in Toscana. I due primi battaglioni del mio reggimento vennero diretti alla volta di Firenze, il terzo, in cui io mi trovava, andò a Massa di Carrara. Gli abitanti nelle provincie più distanti da Firenze avevano risguardate le mutazioni repubblicane con dispetto e fra i campagnuoli in special modo non tardò a prender piede un certo fermento, il quale in alcuni luoghi si manifestò in aperta sommossa e reazione. A Montignoso e a Pietra Santa il mio battaglione ebbe a sostenere una gagliardo scontro. Rientrati in Massa ci giunse l’ordine di portarci a Livorno, dove comandava il generale Dargobert.
Correva la notte del 2 d’agosto 1798, quando tutti ci trovammo soprappresi dalla meno aspettata notizia. Conveniva partir subito nel massimo silenzio, abbandonando cannoni, munizioni, bagagli. Un ordine del generale aveva proibito di dare il benché minimo segnale, che accennasse alla riunione e alla partenza delle truppe. Così restarono in Livorno alcuni uffiziali e non pochi soldati, che tutti al mattino si trovarono prigionieri degl’insorti, i quali eransi introdotti nella città, assenziente per moneta avuta il generale Dargobert. Le truppe, uscite in tal modo da Livorno, per la via di Viareggio, di Massa, della Spezia e della riviera di levante si portarono a Genova. Era questo un tempo per nulla propizio alle armi francesi in Italia. Stretto dal bisogno di riparare la Francia minacciata, il Direttorio di Parigi aveva comandato a Macdonald di accorrere per congiungersi a Moreau che scendea dalla Bocchetta di Genova. Dopo tre giorni di fiera battaglia sulla Trebbia, l’esercito guidato da Macdonald era stato sconfitto e noi in Genova ne scontrammo gli avanzi, co’quali fummo incorportati.

Memorie del generale Carlo Zucchi,
pubblicate per cura di Nicomede Bianchi,
Casa Editrice Italiana di M. Guignoni, Milano / Torino, 1861

 

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